Se lo smartworking entra in città. Rischi e opportunità per i centri urbani nell'evoluzione del "lavoro agile"
Per molti osservatori il processo a livello mondiale è irreversibile: una parte significativa dei lavori (non tutti) si potrà svolgere indipendentemente dal luogo in cui si è fisicamente.
Molte grandi aziende e alcune pubbliche amministrazioni stanno immaginando di proseguire l’esperienza di smartworking, improvvisata durante questi mesi. Lo stesso ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha affermato la necessità di un incontro con i sindacati per ragionare su un’integrazione dei diritti dei lavoratori, accennando al diritto alla disconnessione, per rendere meno invadenti i tempi di lavoro con quelli della vita quotidiana. Per molti osservatori il processo a livello mondiale è irreversibile: una parte significativa dei lavori (non tutti) si potrà svolgere indipendentemente dal luogo in cui si è fisicamente.
D’altronde è un’innovazione organizzativa importante e conveniente per le aziende, che rivoluziona da un lato i processi lavorativi a cui siamo tradizionalmente abituati, dall’altro le abitudini quotidiane. In questo tempo di distanziamento sociale ce ne siamo accorti. Ma cosa potrebbe succedere se lo smartworking entrasse in città?
Ci stiamo già accorgendo di alcuni primi segnali. Il primo dà indicazioni sulla mobilità cittadina. Il lavoro agile è adatto soprattutto per le aziende di servizi e per quelle amministrative. Questo significa che molti uffici vedrebbero ridurre in modo sostanzioso il numero degli impiegati presenti durante la giornata. Ci saranno giorni dedicati a incontri, riunioni o programmazione che richiederanno la presenza contemporanea di più persone ad esempio, ma ce ne saranno altri dove saranno pochi in sede. Le conseguenze sul traffico cittadino e sul trasporto pubblico potrebbero essere positive, perché la viabilità sarebbe decongestionata da un sostanzioso numero di persone che rimarrebbe a casa a lavorare. Senza considerare la positiva diminuzione dei livelli di inquinamento.
Un secondo segnale avvisa che i centri, dove c’è la sede di gran parte degli uffici si svuoteranno. Le conseguenze le osserviamo già, dove alcuni bar e tavole calde faticano a riaprire e altre hanno deciso di chiudere l’attività. Le ditte di pulizia, generalmente cooperative, vedranno ridurre i loro orari perché gli edifici vuoti avranno meno necessità. Inoltre molti locali, presi in affitto dalle imprese, dalle aziende e dai negozi, saranno svuotati e perderanno di valore, perché non troveranno lo stesso numero acquirenti interessati. Molte persone perderanno il lavoro. Nelle nostre città piene di storia e di arte continueranno ad arrivare sicuramente i turisti. Non ci saranno “centri fantasma”, ma ci sarà un forte colpo di assestamento da dover assorbire.
Un terzo aspetto incide sulle zone residenziali della città, in particolare sui quartieri dormitorio, nei quali le persone rientravano solo a tarda sera. Queste aree si popoleranno. Ci sarà una nuova vitalità. Il lavoro agile permette di liberare del tempo, consentirà nuovi stili di vita che riscoprono le realtà del quartiere: i parchetti, la piazza, il bar dove per sedersi a prendere un cappuccino non c’è sovrapprezzo, potrebbero trovare spazio anche alcune attività commerciali di zona. I residenti avranno nuove esigenze e troveranno occasioni per rinnovare le relazioni di prossimità. Non tutte le periferie sono attrezzate.
Il cambiamento ha aspetti positivi e altri meno. Come tutti i passaggi storici qualcuno rimarrà indietro e avrà bisogno di essere accompagnato per inserirsi in una realtà nuova. Tuttavia ci sono almeno due presupposti per accompagnare il processo. Il primo riguarda l’investimento in infrastrutture per aumentare l’efficienza della rete del trasporto dati, il secondo è la capacità di riequilibrare i rapporti tra centro e periferie urbane.