Nel tempo dell’emergenza. Perchè soffriamo? Siamo stati feriti...
Siamo stati privati del corpo: nell’impossibilità di contatti fisici abbiamo percepito la difficoltà di sentirci come reale corpo della Chiesa e, al contempo, di nutrirci del corpo di Cristo
Ripercorrendo il tempo di emergenza del Covid 19, soprattutto la fase acuta dei mesi scorsi, tutti ci siamo accorti di quanta sofferenza era presente, dentro e attorno a noi. Tutti, senza distinzione di cultura, lingua, religione, abbiamo sofferto per la malattia, per la morte, per l’impotenza, per la solitudine e il disorientamento. Abbiamo dovuto fare i conti con la parola “senza”: senza sicurezze sanitarie, senza una stabilità economica, senza un lavoro, senza relazioni concrete...
Tutti, abbiamo sofferto e continuiamo a soffrire ma sembra che noi cristiani soffriamo più degli altri. Perché? Il nostro dolore è amplificato perché abbiamo sentito più degli altri la mancanza di quell’elemento che sta al centro della nostra fede: il corpo.
In questi mesi siamo stati privati del corpo: nell’impossibilità di vivere relazioni di prossimità concreta, di contatti fisici, abbiamo percepito la difficoltà di sentirci come reale corpo della Chiesa e, al contempo, di nutrirci del corpo di Cristo.
Il corpo è la dimensione che attraversa tutta la nostra vita di fede e che ci permette di entrare in profonda relazione con Dio. Dio stesso si è fatto corpo, in Gesù Cristo, e attraverso la sua corporeità ha fatto sentire il Dio con noi. Senza la dimensione corporale, Dio sarebbe una pura idea, mentre noi cristiani conosciamo di più Dio, attraverso il corpo Nel tempo dell’emergenza di Gesù, il nostro corpo e il corpo altrui. Conosciamo il corpo di Dio soprattutto quando siamo a contatto con i corpi sofferenti, e come Gesù ci facciamo prossimi per versare sulle ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza.
Tutto il corpo di Gesù ci ricorda l’amore di Dio, e proprio perché noi ci ricordassimo di questo amore, egli non ci ha lasciato solo delle parole, poiché è facile dimenticare quello che si ascolta, né ci ha lasciato solo dei segni, poiché si può dimenticare anche quello che si vede, ma ci ha dato del cibo, poiché è davvero difficile dimenticare un sapore.
Ci ha lasciato un pane, nel quale c’è Lui, il suo corpo, vivo e vero, con tutto il sapore del suo amore. Per questo Gesù ci ha chiesto: «Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11,24). Ed è questo il motivo per cui abbiamo sofferto di fronte all’impossibilità di celebrare l’eucaristia, o come ora in cui la celebriamo in maniera innaturale: senza l’eucarestia non possiamo vivere!
Ma il corpo riguarda anche la stessa Chiesa, prolungamento del corpo di Cristo. Soffriamo di più perché le misure di distanziamento sociale hanno messo, e tuttora mettono, a dura prova tutte quelle occasioni in cui si esercita la prossimità. Ogni incontro, raduno, assemblea, vengono vissuti in maniera filtrata e ci impediscono di essere quello che siamo realmente gli uni per gli altri: membra dello stesso corpo che vogliono vivere relazioni autenticamente fraterne, fondate tutte sulla prossimità reale delle persone.
Ecco, dunque, perché abbiamo sofferto tanto: siamo stati feriti nel nostro corpo; non abbiamo potuto nutrirci del corpo del Signore ed essere fino in fondo corpo della Chiesa.