Don Lucio Nicoletto e il coronavirus in Amazzonia: “Il peggio deve ancora venire”
Don Lucio Nicoletto, missionario fidei donum della Diocesi di Padova in Brasile, da un anno vicario generale della diocesi amazzonica in Roraima, affida ad un video, pubblicato dal canale Youtube del Centro Missionario Diocesano, la testimonianza di come la Chiesa in Amazzonia stia affrontando l’emergenza sanitaria, ancora ben lungi dall’essere sconfitta in Brasile, e in particolare tra i poveri, gli indigeni e i rifugiati del Nord, in Amazzonia.
«Certamente ci state accompagnando con apprensione in questi ultimi tempi – esordisce don Lucio – a causa della pandemia di Covid-19, che purtroppo sta martoriando anche la regione latino americana, e in modo particolare il Brasile.
Della situazione qui, nella Regione Amazzonica, se ne sta parlando da tempo, vuoi per la mancanza di un governo che abbia le caratteristiche per definirsi tale, vuoi per la confusione che si è generata tra la gente fin dall’inizio dell’emergenza, per cui davanti a un presidente che dà alcune indicazioni o non né dà proprio, ai governatori dei singoli stati che danno ordini contrari, agli impresari che invitano a fare come se niente fosse perché sennò l’economia ne rimetterà in modo grave, soprattutto quella dei loro portafogli chiaramente, e non sicuramente quello della povera gente».
L’emergenza sanitaria è dunque acuita da quella sociale: «Questo genera un clima che oltre a non aiutare in nulla lo sforzo comune di combattere questo virus, crea pure un clima di grosse divisioni e tensioni, contrasti sociali tra i sostenitori del presidente da un lato, quelli che l’avevano votato e poi se ne sono pentiti dall’altro, e dall’altro ancora quelli che continuano a rimpiangere l’epoca di Lula ma non del partito dei lavoratori che ha deluso praticamente tutti e probabilmente anche sé stesso.
Qui in Roraima il governo federale ha pure stanziato parecchi soldi per l’emergenza, per medicinali, ospedali da campo, in misure igienico-sanitarie, sia per la popolazione locale che per il popolo dei migranti venezuelani. Purtroppo la corruzione del sistema politico locale, vera pandemia a cui sembra non esserci vaccino, ha messo in ginocchio la popolazione che ha dovuto accontentarsi che l’ospedale da campo venisse aperto dopo grandi pressioni fatte da Chiesa cattolica, associazioni, movimenti vari, solo dopo tre mesi da quando è stato iniziato. Nei primi tre mesi di pandemia ha funzionato solo l’ospedale generale dello Stato, che si trova nella capitale, qualche speranza per il popolo della città sicuramente, ma disperazione totale per il resto della popolazione di Roraima, che abita nelle zone rurali, a 500, 600 chilometri dalla capitale, con grandi, enormi difficoltà di spostamento a causa della mancanza di strade e infrastrutture in generale. Fino ad oggi può avere accesso all’ospedalizzazione solo chi ha bisogno di essere intubato, gli altri quando va bene vengono invitati a rimanere a casa e vengono forniti della profilassi di prassi dai medici del pronto soccorso. Al momento attuale sono in Roraima in una popolazione di 600 mila abitanti abbiamo avuto 27 mila contagiati e 400 morti, una percentuale per abitante maggiore certamente rispetto all’Italia.
Ma la Chiesa fa quello che può: «Come diocesi di Roraima siamo impegnati con la Caritas locale e nazionale nella raccolta e distribuzione di generi alimentari di prima necessità, vestiti e medicinali e materiali di protezione sanitaria in genere. Dal maggio scorso abbiamo già raccolto e distribuito più di 1200 quintali di alimenti, in particolare, visto che la fame come credo un po’ dappertutto, ha già cominciato a battere alla porta di tantissime famiglie. Siamo in contatto permanente anche con la Caritas italiana, che ha accettato di promuovere con noi due microprogetti e uno più consistente sempre nell’ambito dell’emergenza alimentare e nella promozione di progetto di microcredito che possano incentivare in questo momento l’agricoltura familiare e i piccoli artigiani. Fino ad ora, grazie a Dio, siamo riusciti a sopperire alle necessità primarie della maggior parte delle famiglie che ci hanno chiesto aiuto. Per fortuna non siamo stati gli unici a muoverci in questo senso. Purtroppo dobbiamo dire che il peggio deve ancora venire. Quando per esempio riapriranno le frontiere con il Venezuela, che sono chiuse da quattro mesi, ci sarà già una marea di venezuelani che stanno aspettando per fuggire dalla situazione della loro terra che in questi mesi di pandemia non ha fatto altro che peggiorare, ma ovviamente nessuno ne ha parlato. D’altronde, l’argomento pandemia è diventato un ottimo alibi in ogni parte del mondo per quanti hanno approfittato della confusione generale per portare avanti i propri interessi ovviamente a scapito sempre dei più deboli».
«Sappiamo che non mancano la preghiera, la solidarietà da parte di tutti voi nei confronti del popolo amazzonico di Roraima in particolare – conclude il missionario – ve ne siamo particolarmente grati. Colgo l’occasione per estendere a tutti voi il saluto e la gratitudine del nostro vescovo Mario Antonio, per la comunione di fede e di carità che ci unisce in questo momento e ci unisce come Chiese nel comune progetto di provvedere soprattutto alle necessità di chi in questo momento bussa alla porta della nostra casa come il Cristo dei poveri».