Voltare pagina. L’investimento è tale se produttivo, altrimenti si chiama spreco
Con i soldi del Recovery Fund (e forse altri ancora) si potrà dare all’economia una bella iniezione rivitalizzante.
Il Covid ha tagliato la testa alla discussione sul fare in Italia investimenti con spesa pubblica: ci saranno i soldi del Recovery Fund (e forse altri ancora); all’economia occorre una bella iniezione rivitalizzante; via libera insomma ai grandi lavori pubblici. Che in Italia, appunto, si fatica a realizzare.
Tra il 2009 e il 2018 il valore degli investimenti pubblici è calato di 13 miliardi di euro; è calato in percentuale rispetto al Pil nel momento in cui invece cresceva in Francia, nel Regno Unito e perfino in quella Germania che da sempre accusiamo di non voler spendere il tanto denaro pubblico che ha in cassa.
Nel 2019 gli investimenti italiani avevano invece messo un segno più davanti, salvo toglierlo in questo infausto 2020. C’è stato più bisogno di tamponare le falle, che di progettare la nuova barca.
Ma adesso bisogna voltare pagina. Secondo il Fondo monetario internazionale, aumentare gli investimenti di un punto percentuale fa crescere il Pil del 2,7%, gli investimenti privati (il vero obiettivo conseguente) del 10 e l’occupazione dell’1,2%. Ogni milione speso dallo Stato genera due posti di lavoro aggiuntivi nei settori tradizionali (acquedotti, elettricità, scuole, strade, ospedali) e cinque in quelli più avanzati: energie rinnovabili, efficientamento immobiliare, ricerca e innovazione.
Unica condizione: devono essere investimenti di alta qualità, e non soldi spesi tanto per spenderli. L’investimento è tale se produttivo, altrimenti si chiama spreco.
Che ci vuole, dunque? In Italia spesso manca la capacità di fare questi investimenti, perché il bisogno c’è eccome. Ci vuole lungimiranza in una classe politica che invece predilige il respiro corto, per (pur comprensibili) ragioni elettorali; ci vuole capacità tecnica in una pubblica amministrazione che deve far partire progetti, bandi di gara, lavori. Con tecnici qualificati più che fini giuristi; con una visione più cosmopolita (insomma, copiamo); con incentivi all’efficienza e “scudi” legali adeguati: il terrore di finire inquisiti sta paralizzando da anni le mani di chi deve firmare i progetti.
C’è da modernizzare Casa Italia (infrastrutture viarie, internet, edifici pubblici, tutela idrogeologica), ma c’è anche da portare l’economia verso il futuro, perché nella seconda metà del secolo domineranno l’idrogeno, le batterie ad alta capacità, l’informatica avanzata (telemedicina, interconnessione), l’efficientamento produttivo agroalimentare…
Insomma, l’occasione è storica: non perdiamola.