L’ultimo discorso di Liliana Segre: “Non ho mai perdonato”
L’evento alla Cittadella della Pace di Arezzo: “Io sono stata clandestina sulle montagne, sono stata richiedente asilo e so cosa vuol dire essere stata respinta”
“Mi chiedono se ho perdonato e rispondo di no. Non ho mai perdonato, non ci riesco". Lo ha detto la senatrice a vita Liliana Segre, alla Cittadella della Pace a Rondine (Arezzo) nel suo ultimo discorso pubblico. Segre ha ripercorso tutta la sua prigionia nelle mani dei nazisti. "Nel mio racconto - ha detto Segre - c'è la pena, la pietà per quella ragazzina che ero io e che adesso sono la nonna di quella ragazzina. So che è difficile vedendo una donna di 90 anni pensare che quella era una ragazzina. Nel settembre del 1938 sono diventata “l'altra” e c'è tutto un mondo intorno che ti considera diversa. E questa cosa è durata sempre, io sono sempre l'altra. So che le mie amiche, quando parlano di me, dicono sempre “la mia amica ebrea”. Quando sono diventata l'altra e a 8 anni non sono più potuta andare a scuola, ero a tavola con i miei familiari, e mi dissero che non potevo più andare a scuola. chiesi perché e ricordo gli sguardi di quelli che mi amavano e mi dovevano dire che erro stata espulsa perché ero ebrea. Una delle cose più crudeli delle leggi razziali fu far sentire dei bambini invisibili, molti miei compagni non si accorsero che il mio banco era vuoto".
Segre ha parlato del tentativo di fuga in Svizzera con la famiglia, prima dell’arresto: “Io sono stata clandestina sulle montagne, sono stata richiedente asilo e so cosa vuol dire essere stata respinta, sono dei passaggi così importanti, si può essere respinti in tanti modi, voleva dire avere incontrato un uomo che obbediva agli ordini”.
Commovente l’ultimo sguardo con il padre quando scesero dal treno che li portò nei campi di concentramento. E il conseguente appello ai giovani e ai figli: “Non siate avari di un abbraccio in più”, non rinunciate a dire “io sono qui e posso fare qualcosa per te, io l’ho provato per tutta la mia vita, desideravo proteggere mio papà, sapevo che era debole e sensibile, ero importantissima per lui, vedevo la tragedia di un padre che non era riuscito a portare in salvo il suo tesoro e lo dovevo consolare quando lo portavano via nella cella, cercando di abbracciarlo dicendo che per qualunque cosa io ero con lui”
Parlando della detenzione ad Auschwitz, Segre ha detto: "Il campo di sterminio funzionava alla perfezione, da anni, non c'era il minimo errore. Cominciammo a capire che dovevamo cominciare a dimenticare il proprio nome, che nella tradizione ebraica ha un significato. Mi venne tatuato un numero sul braccio e dopo tanti anni si legge ancora bene, 75190. E dovemmo subito impararlo in tedesco. Quando entrai ad Auschwitz non avevo ancora studiato Dante, lo studiai dopo, ed eravamo condannate a delle pene ma non c'era il contrappasso: pensavo di essere impazzita. Non racconto mai tutti i dettagli della mia prigionia”.
Toccante la marcia della morte dopo Auschwitz verso altri campi: “Incontrammo un cavallo morto e alcune di noi prigioniere mangiavano la carne del cavallo con le unghie e con i denti e anche io lo feci, eppure amavo molto i cavalli, era orribile questa scena, eravamo noi peggio del cavallo, eravamo morte dentro ma volevamo vivere, attraversavamo paesi e nessuno ha mai aperto una finestra, dove erano gli uomini con la lettera maiuscola che possono guardarsi allo specchio e potevano dire di avere una coscienza”...
Alla fine del suo discorso, gli studenti di Rondine hanno consegnato fogli a forma di farfalle con pensieri per Liliana Segre. Presenti all’evento, tra gli altri, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, il presidente della Camera Roberto Fico, al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, Franco Vaccari, presidente della Cittadella della Pace.