L’anno dei "furbetti" e dei "poveri meritevoli". Saraceno: "Serve un pensiero strategico"
LE PAROLE DEL 2020. Mai come in quest’anno, nella percezione della povertà, si è allargato il divario tra poveri, imbroglioni o sdraiati sul divano. A farne le spese, però, è anche la reputazione delle misure strutturali. E mentre si pensa agli adulti, i minorenni in povertà diventano gli “invisibili” della pandemia
Gli ultimi dati sulla povertà, pubblicati dall’Istat lo scorso 16 giugno, affermano che l’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie italiane è in calo in modo significativo. Un dato che sembra in contraddizione rispetto a questo drammatico 2020, se non fosse che - come è sempre stato - i dati del report dell’Istituto nazionale di statistica si riferiscono al 2019, quando ancora nessuno avrebbe mai immaginato che in pochi mesi avremmo vissuto una pandemia da coronavirus. Forse è per questo che quei dati hanno “suscitato scarso interesse”, come scrivono Massimo Baldini e Cristiano Gori in un articolo pubblicato su lavoce.info: quest’anno, infatti, di povertà se n’è parlato molto, ma il Covid-19 ha cambiato radicalmente lo “scenario”, come sottolineano Baldini e Gori. Tuttavia, il linguaggio utilizzato nel raccontare il tema è stato caratterizzato da diverse sfumature e anche la percezione del fenomeno ha risentito dell’emergenza e i luoghi comuni rischiano di distorcere una realtà provata da mesi di chiusure e restrizioni. Con la sociologa Chiara Saraceno abbiamo ripercorso alcuni momenti significativi di questo 2020 in merito al tema della povertà e abbiamo buttato anche uno sguardo al 2021.
Partiamo dai numeri
Secondo l’Istat, nel 2019 erano quasi 1,7 milioni le famiglie in povertà assoluta (con un’incidenza pari al 6,4%), per un totale di quasi 4,6 milioni di individui (7,7%), in “significativo calo rispetto al 2018” quando l’incidenza era pari, rispettivamente, al 7,0% e all’8,4%. “La diminuzione della povertà assoluta si deve in gran parte al miglioramento, nel 2019, dei livelli di spesa delle famiglie meno abbienti - spiega una nota dell’Istat -. L’andamento positivo si è verificato in concomitanza dell’introduzione del Reddito di cittadinanza e ha interessato, nella seconda parte del 2019, oltre un milione di famiglie in difficoltà”. Il Covid-19 e le conseguenze dovute alle misure di contenimento del contagio, tuttavia, preannunciano dati sul 2020 molto diversi rispetto al 2019. Qualche segnale arriva dalle misure di contrasto alla povertà. Non più soltanto il Reddito di cittadinanza. Con il Decreto rilancio (dl 34/2020 art.82), il Decreto agosto (dl 104/2020 art.23) e poi ancora con il Decreto ristori (dl 137/2020), infatti, è stato creato (e successivamente esteso per altri mesi) un Reddito “d’emergenza”. Così, oltre ai 2,7 milioni di cittadini che tra aprile 2019 e novembre 2020 hanno percepito il Reddito di cittadinanza, nel 2020 si sono aggiunge oltre 700 mila persone che hanno percepito il Reddito d’emergenza tra maggio e agosto, mentre 580 mila sono quelle che lo hanno ottenuto nei mesi di settembre e novembre. Un dato ancora lontano dai famosi 2 milioni di beneficiari, obiettivo auspicato dal ministro Catalfo durante il lancio del Rem, sebbene il Rem sia stato pensato sin dall’inizio come una misura urgente, rapida nel raggiungere i cittadini in difficoltà e temporanea.
Furbetti e divani
“La cosa positiva è che quest’anno era impossibile non vedere la povertà - afferma Saraceno -, anche perché era impossibile non vedere che in molti casi la povertà era causata da decisioni estranee, come per chi ha dovuto chiudere un negozio in modo improvviso”.
Emergenza - sanitaria e sociale - è di sicuro la parola che ha caratterizzato questo 2020, nonostante non siano mancati gli intoppi che hanno causato lungaggini e ritardi. Ma parlando di povertà, nell’anno che sta per chiudersi è stato letteralmente impossibile non imbattersi nei “furbetti” del Reddito di cittadinanza. Un termine certamente non nuovo, ma molto più diffuso rispetto al 2019, probabilmente per l’incremento dei controlli sui requisiti dei beneficiari. Altra immagine che sembrava aver perso terreno è quella del “divano” su cui passerebbero il tempo molti dei beneficiari del Reddito di cittadinanza. A rilanciare questa immagine nel 2020, tuttavia, non è stato un esponente del Movimento 5 stelle, che da sempre sostiene il Rdc come misura di politica attiva del lavoro, in primo luogo, e di contrasto alla povertà in seconda battuta. Chi ha parlato di divano è stato Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna ed esponente del Partito democratico. Due parole come macigni per il Reddito di cittadinanza, mentre il Rem sembra passare indenne alla sassaiola e al fuoco amico.
I poveri meritevoli e gli imbroglioni
“Si sono create due categorie di poveri e non si capisce cosa li distingue - commenta Saraceno -. È emersa la vecchia idea del povero meritevole, ovvero chi improvvisamente perde il lavoro. Poi, però, in parallelo è continuato il discorso sugli sdraiati sul divano e i furbetti. Nella nostra cultura, e anche a sinistra, l’idea che uno possa essere povero strutturalmente e non improvvisamente per una disgrazia, è di difficile interiorizzazione. Così, mentre da un lato c’è stata una maggiore attenzione e una visibilità che ha impedito che si cancellasse il problema, ha continuato a funzionare l’idea del povero meritevole e di quello non meritevole. E paradossalmente quelli che prendono il reddito di cittadinanza sotto sotto sono percepiti come potenzialmente tutti imbroglioni e meno meritevoli perché stanno sdraiati sul divano. E questo è paradossale”. Da notare, secondo Saraceno, è anche l’attenzione agli abusi che sembra caratterizzare in maniera quasi esclusiva le politiche di contrasto alla povertà. “Solo quando si parla di povertà la preoccupazione principale è l’abuso - aggiunge Saraceno -. Così anche attorno al Rem hanno costruito tanti paletti per cui sembra che molti non riescano ad averlo o rinunciano nonostante ne abbiano diritto. Non hanno messo questi paletti ai bonus per le biciclette, ad esempio, o anche quando sono arrivati i primi soldi per gli autonomi: pochi, ma nell’immediato dati a prescindere. Quello che colpisce è che sempre e solo quando si parla di poveri bisogna mettere i paletti perché forse c’è qualcuno che imbroglia”.
Il tagliando al Reddito di cittadinanza
Ad abbandonare la passerella politica nel 2020 è il binomio povertà-lavoro, pilastro della proposta pentastellata del Reddito di cittadinanza. Se i Centri per l’impiego - e la loro riforma - erano sulla bocca di tutti nel 2019, insieme agli altrettanto noti “navigator”, nel 2020 di loro non si è saputo più nulla o quasi. Quel che sappiamo, perché lo ha riferito l’Inps, è che il “78% di coloro che hanno terminato il primo ciclo (di 18 mesi del Reddito di cittadinanza, ndr) a settembre ha presentato una nuova domanda nel mese di ottobre - si legge in una nota dell’Istituto -, secondo quanto previsto dalla normativa, per ottenere poi a partire dal mese di novembre nuovamente il beneficio, se ancora in possesso dei requisiti richiesti”. E così, sulle politiche di contrasto alla povertà ha cominciato a circolare con insistenza il termine “tagliando” riferito proprio al Reddito di cittadinanza. “Finalmente anche Di Maio si è accorto che si tratta di una misura di contrasto alla povertà - spiega Saraceno - e non di una politica attiva del lavoro. Questo non vuol dire che io non debba aiutare chi potrebbe lavorare, posto che la domanda di lavoro che dovrebbe incontrare questa offerta non c’è”. Per Saraceno il tagliando “l’ha già fatto Di Maio” con questa presa di coscienza, ma ovviamente non basta e di cose da cambiare ce ne sono. Come ad esempio la scala di equivalenza “che penalizza i bambini”.
Invisibili: i bambini poveri nella pandemia
Per Chiara Saraceno, sono proprio loro, i minorenni poveri, i veri “invisibili” di questo 2020. “La povertà dei minorenni continua ad essere vista pochissimo nel nostro paese - spiega la sociologa -, nonostante sappiamo che l’Italia è uno dei paesi in cui l’incidenza della povertà è più alta, non solo tra le famiglie con figli minorenni, ma proprio tra i minorenni”. Per Saraceno, i minorenni “non vengono mai visti come soggetti con bisogni propri ed è per questo che la povertà minorile è stata ampiamente sottovalutata. Nella pandemia molti hanno perso il servizio mensa gratuito che per i bambini in condizione di povertà, almeno nel Centro Nord, significa perdere un pasto proteico al giorno per almeno 5 giorni alla settimana. Mentre si è pensato ai vecchietti con i pasti a domicilio seguiti dai servizi sociali, forse e non sempre, dei bambini non se n’è parlato proprio. Ci ha pensato soltanto quel pezzo del terzo settore che si occupa in modo specifico di loro”.
Gli hashtag che dimenticano gli ultimi
Nell’era dei social era inevitabile trovare un hashtag che invitasse tutti i cittadini, in piena pandemia, a rispettare le regole. E così che è nato #iorestoacasa, uno dei tanti decreti che hanno caratterizzato il 2020. Ma è bastato poco per capire che forse non tutti potevano permetterselo e così, nel giro di qualche ora, è circolato il contro-hashtag #vorreirestareacasa. Per Saraceno, infatti, la pandemia ha colpito duramente i più fragili. “Durante il Covid hanno perso molti servizi per motivi di sicurezza - spiega la sociologa -. Non potevano più andare a fare le docce o ricevere il cambio di vestiti. Anche nei dormitori è diventato tutto più complicato e i pasti caldi sono pressoché spariti perché le esigenze di prevenzione non lo rendevano possibile. Ma la questione dei senza dimora è complicata e forse bisognerebbe avere una rete che riesca ad intercettarli un po’ prima che diventino cronicizzati, perché poi è tardi. In loro, c’è una storia che va presa per tempo”.
Una strategia per il 2021
Inutile farsi illusioni: il prossimo anno non sarà meno difficile di questo 2020. Chiara Saraceno ne è più che convinta. “Sono molto preoccupata per il 2021, sia perché la pandemia è qui per rimanere e probabilmente avremo anche una nuova fiammata, ma abbiamo davanti un anno ancora altamente problematico, con restrizioni e chiusure, con gente che perderà di nuovo il lavoro o che chiuderà per sempre l’impresa che aveva”. Tuttavia, è tempo di mettere da parte la parola emergenza e affezionarsi di più al termine strategia. “Il Reddito di emergenza è stato fatto perché dicevano che non c’era tempo per ristrutturare e riformulare il Reddito di cittadinanza in modo che fosse adeguato e più flessibile - spiega Saraceno -. Adesso però sono passati un po’ di mesi e sarebbe ora di avere una misura unica. La gente va protetta ma con gli strumenti adeguati. Non possiamo più dire di essere in emergenza: è passato un anno e questa situazione ci accompagnerà almeno per un altro anno, si spera in maniera meno drammatica. Una situazione di incertezza a cui dobbiamo far fronte con un pensiero strategico”. Ma al momento di segnali che vanno in questa direzione non sembra ce ne siano molti e lo testimonia il “profluvio di bonus” in arrivo dal governo. “Quello che abbiamo visto con la legge di bilancio - conclude Saraceno - è sconvolgente”.
Giovanni Augello