Conflitti dimenticati. Caritas: “Aumentano le guerre ad alta intensità”
Nel 2020 i conflitti violenti sono aumentati del 12% rispetto al 2019 e più della metà di questi coinvolge l’Africa subsahariana. Presentato oggi a Roma il rapporto “Falsi equilibri” realizzato in collaborazione con Avvenire, Famiglia Cristiana e Miur. Beccegato, vicedirettore di Caritas: “Non c’è un angolo della terra in pace, tutti i continenti sono coinvolti”
Aumentano nel mondo le guerre ad alta intensità, cresce in tutto il pianeta il numero di persone che necessita di protezione e aumenta anno dopo anno anche la durata delle crisi umanitarie. È questo il complesso quadro descritto dal nuovo rapporto pubblicato da Edizioni San Paolo sui conflitti dimenticati e le diseguaglianze “Falsi equilibri. Le sfide della fraternità globale in un mondo segnato dalla pandemia” presentato oggi a Roma da Caritas Italiana, in collaborazione con Avvenire, Famiglia Cristiana e ministero dell’Istruzione, alla vigilia della Giornata internazionale dei diritti umani. Un documento che costituisce la settima tappa di un lungo percorso di studio sui conflitti dimenticati avviato già nel 2002 e che quest’anno presenta una mappatura aggiornata al 2020 dei conflitti armati in un mondo duramente colpito dalla pandemia da Covid-19. “Le guerre ad alta intensità sono 21, sei in più dal 2019 al 2020 - spiega Paolo Beccegato presentando oggi il rapporto a Roma -. Questo dato, sommato a tutti i conflitti violenti, vede un aumento del 12% rispetto all’anno precedente e ci dice quanto le guerre violente siano in aumento nello scenario geopolitico contemporaneo”. Secondo Beccegato, è ancora una volta l’Africa subsahariana a presentare la maggior concentrazione dei conflitti ad alta intensità (11 su 21, ovvero più della metà), ma “tutti i continenti sono coinvolti - ha aggiunto -. Non c’è un angolo della terra in pace, però quelli più violenti sono combattuti in Africa”. A dare un quadro più puntuale dei conflitti in corso è Walter Nanni nel capitolo del rapporto da lui curato. I dati riportati, scrive Nanni, sono un’elaborazione dei dati forniti dall’Hiik (Heidelberg institute for International conflict research) dell’Università di Heidelberg, in Germania. “A livello complessivo, il totale di tutti i conflitti (violenti e non violenti) registrati dall’istituto germanico, nei diversi livelli di intensità, è pari a 359 unità - scrive Nanni -. Rispetto all’anno precedente la situazione rimane quindi sostanzialmente stabile (358 conflitti registrati nel corso del 2019). Osservando le cinque tipologie di conflitto, si notano tuttavia alcuni mutamenti: in lieve diminuzione le “dispute” (da 71 a 69); regrediscono in misura notevole le “crisi non violente”, che passano da 81 a 70 in un solo anno (-21 unità); aumentano di 22 unità le “crisi violente” (da 158 a 180 situazioni di crisi); lieve diminuzione delle guerre limitate (-4); dopo due anni di stabilità, aumentano le guerre ad alta intensità, che passano da 15 a 21”. Tenendo conto dei soli conflitti violenti, di media e alta intensità (“crisi violente”, “guerre limitate” e “guerre”), scrive Nanni, “la violenza nel mondo non è stabile ma aumenta del 12% (+37 dal 2019 al 2020). Il tipo di conflitto più diffuso nel mondo non è la guerra tradizionale, ad alta intensità, che vede schierate ampie forze militari, con grande produzione di morti, rifugiati, sfollati e danneggiamento di infrastrutture civili, ma la “crisi violenta”: siamo di fronte a 220 situazioni rilevate in un anno, corrispondenti al 61,3% di tutti i conflitti mondiali”. La distribuzione geografica dei conflitti vede Asia e Oceania primeggiare come numero di conflitti segnalati: sono 103 nel 2020 (il 28,5% del totale). Seguono l’Africa sub-sahariana (86) e il Medio Oriente/Maghreb (61 conflitti). Tuttavia, spiega il rapporto, limitando l’attenzione ai conflitti violenti (guerre limitate e guerre vere e proprie), è l’Africa Sub-Sahariana che conquista il primato di area continentale più violenta del pianeta, con 20 situazioni di guerra aperte nel corso del 2020, pari al 50% di tutte le guerre del mondo. L’Europa, infine, si presenta come “la zona del mondo meno violenta in senso assoluto - si legge nel rapporto -, con tre soli fronti di guerra attivi nel 2020: la guerra tra insorti filo-russi e forze anti-separatiste nel Donbass ucraino e i due fronti di conflitto che vedono coinvolti Armenia e Azeirbajian per il controllo territoriale dell’autocostituitasi Republica dell’Artsakh o Nagorno Karabakh”. Per quanto riguarda l’impatto dell’emergenza sanitaria sui conflitti, secondo i dati dell’Università di Heidelberg, “nessun nuovo fronte di conflitto nel mondo è stato aperto in diretta correlazione con la pandemia da Covid-19”, si legge nel rapporto. “In alcuni casi limitati, la pandemia globale ha direttamente o indirettamente contribuito all’intensificazione di alcune tensioni interstatali e controversie sui confini”, spiega la Caritas, ma nel complesso non ci sono stati veri e propri conflitti dovuti alla pandemia. Le proteste registrate in diversi paesi non hanno mai superato la soglia utilizzata dal Conflict Barometer per definire tali situazioni in termini di conflitto violento. Andando oltre il perimetro dei conflitti armati, nel corso del 2020 “la violenza politica su scala globale, misurata in numero di eventi violenti e di morti, è nel complesso diminuita (rispettivamente del 22 e del 19 per cento)”, scrive nel rapporto Francesco Strazzari, professore di Scienza politica presso l’Università Sant’Anna di Pisa. “L’Armed Location and Event Data Project (Acled) ha registrato 24.539 eventi cruenti e 27.454 morti in meno rispetto al 2019 - si legge nel rapporto -. Significativamente, tale flessione è riscontrata un po’ a tutte le latitudini, con l’eccezione del continente africano. Al tempo stesso, tuttavia, tale dato aggregato, eclissa il fatto che si è osservato un aumento dei livelli di violenza (quando non vere e proprie escalation) nella metà dei Paesi messi sotto scrutinio. Significativo è anche come, nonostante il crescente protagonismo di attori non-statali (milizie, paramilitari, bande armate, compagnie militari private ecc.), la maggior parte della violenza globale (52%) resta ascrivibile a forze statali”. Secondo Human Rights Watch, scrive Strazzari, “almeno 83 governi nel corso del 2020 hanno giustificato con la pandemia violazioni ai diritti di espressione e assemblea pacifica: attacchi a dimostranti da parte di polizia e forze armate in 18 Paesi, con abusi e violenze in condizioni di apparente impunità”. A rendere più complessa la mappa dei conflitti e le previsioni per il futuro ci sono anche altri dati. Secondo le Nazioni Unite, infatti, nel 2021 sono 235 milioni le persone nel mondo bisognose di protezione e aiuto umanitario. “Una cifra record che supera quasi del 40% le proiezioni dell’anno precedente”, si legge nel rapporto. Rispetto a tale universo di richiedenti aiuto, tuttavia, le Nazioni Unite e le organizzazioni partner hanno già dichiarato di “non poter raggiungere più di 160 milioni di persone in 56 Paesi, anticipando così che il gap tra bisogni e risorse non riuscirà verosimilmente ad essere colmato, ma risulta addirittura ampliato”. Uno “scoperto” di 75 milioni di persone, ha ribadito Beccegato durante la presentazione del rapporto, che non verrà raggiunto da nessun aiuto. Oltre a questi dati, ha aggiunto Beccegato, c’è da considerare gli “82,4 milioni di rifugiati nel mondo, più del doppio di quello che accadeva 10 anni fa nel nostro pianeta e con un trend è in ulteriore crescita”. Ad aumentare, però, non sono soltanto le persone bisognose di protezione o i rifugiati, negli ultimi anni sta aumentando anche la durata delle crisi umanitarie. Secondo Beccegato, infatti, “le crisi umanitarie durano sempre di più - ha spiegato durante la presentazione del rapporto -. Qualche anno fa le avevamo chiamate guerre infinite, guerre cicliche. Avevamo già notato delle crisi umanitarie complesse. Oggi queste crisi durano in media 9 anni, ma è un dato in costante crescita”. Per mons. Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, la pandemia “ha acuito le diseguaglianze, ma allo stesso tempo ha risvegliato un comune senso di appartenenza all’unica famiglia umana che ora è al bivio di scelte decisive per il presente e il futuro dell’umanità - ha ricordato in apertura dei lavori di oggi a Roma -. Scelte non più rimandabili che impongono una rinnovata e più incisiva capacità di dialogo e cammino comune dei popoli. Pertanto è decisivo dare vita a processi di sviluppo in cui si valorizzino le capacità di tutti, ben sapendo – come ci ricorda papa Francesco - che ci sono molte povertà dei “ricchi” che potrebbero essere curate dalla ricchezza dei “poveri”. È tempo quindi di unire gli sforzi per una progettualità creativa, che ha bisogno del contributo di ognuno di noi per generare un nuovo modello sociale ed edificare una pace duratura, in particolare attraverso tre contesti che il Papa sottolinea nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: educazione, lavoro, dialogo tra le generazioni”.Gianni Augello