Gremita la sala del centro parrocchiale di Masi per l'incontro organizzato dal Cuamm di Castebaldo del 4 ottobre

Era gremita la sala del centro parrocchiale di Masi la sera del 4 ottobre: giovani e meno giovani che desideravano ascoltare le parole di don Dante Carraro, direttore dell’ong padovana Medici con l’Africa Cuamm.

Gremita la sala del centro parrocchiale di Masi per l'incontro organizzato dal Cuamm di Castebaldo del 4 ottobre

«In questa serata, organizzata dal gruppo Caritas delle parrocchie di Castelbaldo, Masi e Piacenza d’Adige, don Carraro ci ha fatto riflettere sul grande tema dell’Africa» spiega don Lorenzo Mischiati, parroco dell'unità pastorale di Castelbaldo.

Un argomento ovvio e tutt'altro che inatteso, certo, ma visto da una prospettiva inaspettata e ricca di spunti di riflessione nuovi per noi «Il problema che dovrebbe porsi l'Occidente non è tanto come aiutare l’Africa a superare la condizione di povertà che ne impedisce lo sviluppo, quanto aiutarla a progredire verso un maggior benessere riconoscendone la sapienza, il desiderio di migliorare, l’opportunità di salvare noi occidentali dai nostri mali più profondi» precisa don Mischiati.

Accanto a un’Africa da sfruttare per le sue ricchezze naturali, c’è un’Africa che non conosciamo, una terra che non si è ancora rivelata in tutta la sua ricchezza umana e spirituale, perché nessuno si è mai soffermato ad ascoltarla.

L'Africa che noi conosciamo è quella delle grandi migrazioni del nostro secolo, che ha fatto del Mediterraneo la tomba di tanti disperati in fuga dalla guerra e dalla miseria; e quelli che sono riusciti ad approdare alle coste di paesi non belligeranti, spesso sono gli stessi che vivono nella povertà nelle nostre città troppo rumorose per sentire il loro pianto.

Ma l’Africa è molto più di questo. Le migrazioni esistono anche lì. Sono migliaia le persone che si spostano da uno stato all'altro per trovare un lavoro migliore o per studiare e, una volta acquisito un titolo di studio, desiderano tornare al proprio paese per esercitarvi la propria professione e migliorarne le condizioni.

Molti sono stati bambini cresciuti in una missione, che, grazie a un’adozione a distanza hanno avuto la possibilità di studiare, e ora si spostano senza timore da un lato all'altro del continente per renderlo migliore. Un continente giovane, che ha un grande desiderio di crescere e di rivelarsi in tutta la propria meravigliosa esistenza.

Sulla sponda opposta del mare si affaccia invece un continente, l’Europa, che sta invecchiando visibilmente; una terra malata di noia e ipocondria, disorientata, perché ha perso di vista la propria storia e le proprie radici cristiane. È un continente intristito dalla depressione e agitato da manie che spengono l'interesse per la vita e accelerano il nostro invecchiare. Perché c'è un egocentrismo di fondo che ci impedisce di crescere e di comprendere le cose attraverso il confronto con l’altro e ci rende vittime di noi stessi.

«Siamo costantemente di fretta, sempre arrabbiati perché innervositi dal timore di non riuscire a portare a termine quanto abbiamo stabilito nell'arco della giornata – osserva don Carraro – Non abbiamo tempo per le relazioni perché le nostre giornate sono scandite dai ritmi del nostro fare e qualsiasi persona ci distolga dal nostro correre continuo viene percepita con fastidio».

In Africa, invece, ci sono ancora il senso del tempo e la dimensione della relazione che arricchisce entrambi. In questa terra così vicina e, al tempo stesso, così lontana da noi, le persone sanno ancora ascoltare perché vivono proiettate verso l'altro anziché accartocciate su se stesse, intente a costruire i propri sogni e i propri mali con la stessa disinvoltura. Soprattutto, gli africani hanno ancora il senso della gratitudine.

«Ci sono donne che non hanno nulla con cui ripagare il medico che ha fatto nascere i loro figli, ma ti ringraziano con gli occhi. Uno sguardo profondo come la loro speranza, che esprime più di quanto le parole possano dire» spiega don Carraro.

È fondamentale aiutare l’Africa senza pretendere di imporle le nostre idee e i nostri ritmi malati, ma rispettandone la lentezza del vivere, che racchiude in sé infinite possibilità di relazione e offre il dono della gratitudine.

«L’incontro con una persona come don Dante Carraro ti mette di fronte a te stesso, costringendoti a riflettere sulla tua vita – conclude don Mischiati – Perché don Carraro è un uomo felice di tutto ciò che fa, e questa è una testimonianza cristiana che ti spinge a chiederti se anche tu sei felice della tua vita e se sia possibile renderla ancora migliore».

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