Credere come da bambini. A 60 anni dalla Sacrosantum Concilium

La Sacrosanctum Concilium, di cui ricorre il 60° anniversario, ci avvicina al mistero del celebrare l’alleanza tra Dio e l’uomo

QUADRO-CADUTA

A quanti anni il primo ricordo? Quel Sangue dipinto sul legno, che scende un po’ ondeggiando, come i capelli su quella Carne. L’eco dei passi sul marmo. Gli occhi che si perdono seguendo l’arco del soffitto altissimo. La candela accesa davanti a lei, una donna con un sorriso tutto da indovinare e un vestito azzurro fino ai piedi. O a lui, un uomo con un abito nero e un bimbo in braccio. O alla ragazza con una colomba che fa il nido tra le sue dita. Il profumo dell’incenso, riconoscibile anche in mezzo al più traboccante mercato delle spezie. Le colonne massicce, la simmetria, quell’ordine facile ma di una saldezza che rende credibile la salvezza. È così che abbiamo cominciato a credere, a sentire che si poteva credere e non solo calcolare. È lì che ci siamo innamorati e la grazia ha preso a giocare dentro di noi, facendo sì che tra un pensiero di vanità e un pensiero di tenebra e un pensiero di furbizia e un pensiero di viltà ci fosse anche un pensiero limpido e luminoso di amore. Prima lo spazio, poi il tempo. Ogni domenica mattina, o anche solo ogni Natale e Pasqua, andare là e vedere che lo spazio cominciava a danzare, dando corpo a quel pensiero inutile, solo un pensiero d’amore. L’unico che sembrava fatto per resistere alle disgrazie che avevano cominciato a disintegrare le nostre furbizie in fallimenti. Si diventa cristiani senza un briciolo di teologia. Ma poi capita che ci si imbatta in un libretto di poche pagine, difficile, forse, in qualche passaggio, eppure così trasparente che lo si riconosce ispirato da una costante volontà di amore. È uno scritto di Romano Guardini del 1919, Lo spirito della liturgia, e senza paura dovrebbero leggerlo tutti quelli che intuiscono cos’è in gioco nei sacramenti della Chiesa. Per cominciare a “rendere ragione” del motivo per cui esiste il rito cristiano non abbiamo pagine più potenti. Non è uno studio per specialisti, ma il servizio alla Chiesa di un’intelligenza credente. Perché la scienza può soccorrere la liturgia e accompagnarci verso di essa, ma guai se cade nell’aridità. E un altro testo indispensabile a chi desidera avvicinarsi al mistero del celebrare l’alleanza tra Dio e l’uomo è un documento messo a punto dai padri vescovi a Roma, il 4 dicembre 1963, pochi mesi dopo l’apertura del Concilio Vaticano II: la costituzione Sacrosanctum Concilium. All’approfondimento di questo capolavoro di teologia e sensibilità pastorale, l’Ufficio per la liturgia dedica due cicli di conferenze, a Casa Madonnina, nelle serate di venerdì, e a Villa Immacolata, nelle mattinate di sabato, per tutto il mese di gennaio e la prima settimana di febbraio. Il modo migliore per capire qual è la prospettiva giusta secondo cui fare della messa un’abitudine amatissima è gustare fino in fondo l’acquisizione del paragrafo 7 della Sacrosanctum Concilium, che ci chiede di intendere la liturgia come l’opera di Dio che facciamo uscire dalle nostre mani. Anche in una messa celebrata con tre persone in una sera avvolta nella nebbia è il Signore che dal primo all’ultimo istante è presente con la sua smisurata misericordia pasquale in tutto ciò che si dice e si fa. Guidati dall’ingenuo pensiero di amore di quando eravamo bambini e vedevamo nella grandezza la saldezza e la salvezza, possiamo riempire il nostro animo della fede che ogni dettaglio che compone il rito cristiano è occasione in cui la mano del Dio creatore si tende a toccare la nostra. Lì c’è la calda presenza del Risorto che ci restituisce vita, la sua dolce volontà di perdono e nuovi inizi. Lo scritto dei padri conciliari invita a guardare alle chiese come ai luoghi in cui il nostro amore porta frutto al trenta, al sessanta, al cento per uno, anche se fatichiamo a vederlo, perché queste sono le unità di misura del cielo e non del mondo. Ci aiuta a credere che nella liturgia possiamo prendere a piene mani, soprattutto quando sono ferite o tremanti, da chi è l’abbondanza. Noi abbiamo questo compito: credere come abbiamo creduto da bambini. E la Chiesa ha anche lei un compito fondamentale: essere sempre creta morbida nelle mani di Dio. Misurare, pensare, amare ispirandosi al genio del Divino Maestro. Con tutta la sua radicalità, generosamente e con il massimo coraggio, che forse, in questa stagione di insicurezza, è una delle forme più mature di carità.

Anna Valerio

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