La crescita urbana dell’Arcella: gli interessi dei privati a discapito dei cittadini e del verde
Dallo sviluppo caotico e senza norme del periodo postbellico, l'Arcella ha assunto una fisionomia urbana differente in più punti in base alle industrie. Dopo il ricollocamento della fabbrica Sangati, il progetto dell'architetto Gregotti voleva riqualificare la zona con edifici avveniristici: è rimasta, invece, solo la torre in piazza Azzurri d'Italia, mentre il quartiere avverte la mancanza di uno spazio d'integrazione e di luoghi verdi.
La rinascita del quartiere Arcella, quasi totalmente raso al suolo dopo i pesanti bombardamenti della seconda guerra mondiale, se da un lato esalta la determinazione degli abitanti impegnati nel rimettere in sesto le loro case, dall'altro porta con sé un’edificazione spericolata senza lungimiranza: questo motiverà uno sviluppo caotico e disordinato con conseguenze che hanno ingessato le amministrazioni successive nel tentativo di riordino degli spazi del quartiere.
Un sviluppo urbano tumultuoso e senza norme condizionato dalla speculazione edilizia
Spinti da una situazione di urgenza e giustificati dall'emergenza abitativa, come ricorda lo storico Leopoldo Saracini nel suo libro “Padova Nord”, nell'immediato dopoguerra si verificano abusi di ogni genere tali da travolgere ogni norma e procedura, seppur minima, stabilita dalle precedenti regole urbanistiche: «Moltissime abitazioni vennero passate come “sinistrate” per ottenere comunque un risarcimento più rapido, di tipo “forfettario”, anche se l’entità del risarcimento ricavato con questa transazione risultava essere di molto inferiore all'estimo reale. Questa scelta fu fatta da moltissime persone, perché consentiva di avere subito una somma di denaro da utilizzare per riedificare in modo più veloce».
Soprattutto nella prima Arcella, la fisionomia dell’area retrostante alla stazione segue questa evoluzione: le case, messe in piedi nel ’47 coi fondi dati alle famiglie per una prima ricostruzione, si accavallano l’un l’altra, affacciandosi su strade piccolissime, obbligatoriamente a senso unico e creando, nell'insieme, una sensazione di congestione. La complessa situazione postbellica, inoltre, si appesantisce per il rientro degli sfollati, per il notevole incremento delle nascite e per un’attiva speculazione edilizia che approfitta, senza controllo, del bisogno dei cittadini alla ricerca di un alloggio. Con l’incremento della popolazione, quadruplicata nel giro di qualche decennio, e una visione miope senza previsione, nel quartiere si inizia ad avvertire una mancanza di servizi infrastrutturali che porterà tutta l’Arcella a essere alle dipendenze del centro storico di Padova. Il progressivo insediarsi delle industrie e il rilancio dell’Italia durante gli anni del “boom economico”, inoltre, determinano uno sviluppo tumultuoso della periferia con delle eredità visibili tutt'oggi nel tessuto urbano.
Le fabbriche, infatti, segnano un solco importante nell'evoluzione del quartiere: verso la fine degli anni ’70, l’architetto Luigi Piccinato è costretto a rivedere il modello del Piano regolatore generale, ideato da lui stesso nel 1957 per il quartiere a nord di Padova, perché inadeguato ai cambiamenti repentini dell’area. Nasce così, nonostante diverse difficoltà, la Variante, approvata definitivamente nel 1977 e che prevede, tra le altre cose, lo spostamento progressivo di tutte le attività produttive dall'area urbana alla zona industriale. La scelta segna un cambiamento epocale soprattutto per il rione di San Carlo dominato dalla fabbrica Sangati.
L'eredità della fabbrica Sangati e il progetto Gregotti: un controsenso per i residenti del quartiere
Bogdan Gottardo, studente di medicina residente nell'Arcella, ha condotto un’analisi sull'evoluzione del quartiere prima e dopo la presenza della fabbrica che produceva attrezzature molitorie e che si affacciava, sul lato destro del quartiere, con un cortiletto su via Tiziano Aspetti: «In quello che fino agli anni ‘60, si configurava come un rione agricolo, punteggiato da alcune vivaci realtà industriali, negli anni ‘80 con lo spostamento della Sangati, presente da mezzo secolo, vengono poste le basi per la trasformazione del quartiere. La giunta di allora si affida all'architetto Vittorio Gregotti con un progetto che, nella grandiosità e imponenza dei volumi e proporzioni, guarda alle metropoli americane con alti grattacieli che svettano sulla città e ne ridisegnano lo skyline. Il progetto, tuttavia, non tiene conto del contesto in cui va a inserirsi: nel modello di sviluppo americano, infatti, le periferie sono caratterizzate dalla presenza di villette monofamiliari e grandi viali alberati. Pertanto sarebbe stato naturale dare a San Carlo i connotati di un quartiere periferico a misura d’uomo, con villini e giardini privati, con piste ciclabili e con un parco di grandi dimensioni che fosse in grado di soddisfare le esigenze delle famiglie. Ciò non accade perché si opta per una soluzione che procuri vasti spazi commerciali: viene così a crearsi una frattura urbanistica fra l’Arcella propriamente detta, con i suoi splendidi villini Art Decò, e San Carlo dove i vecchi capannoni vengono sostituiti da ipermercati, negozi d’abbigliamento e palestre. Si crea in questo quartiere una forte sproporzione fra interessi privati, che vengono ampiamente soddisfatti, e quelli della comunità che trovano magri riscontri nel corso degli anni».
La torre che si innalza oggi limitrofa a piazza Azzurri d’Italia è ciò che rimane dell’originario progetto avveniristico di Gregotti che immaginava costruzioni-ponte a scavalco di via Tiziano Aspetti: nello spazio quadrilatero che comprende l’ex centro Totip, abbandonato da anni, la chiesa di San Carlo e la piazza, la colonna di cemento è il segno di un tentativo incompiuto e inespresso di dare un punto identitario e, in ottica futura, di aggregazione, a un’area che risente della dicotomia tra interessi privati e pubblici. Andrea Nicolello Rossi, portavoce di Legambiente Padova, racconta le iniziative proposte nel corso degli anni dall'associazione ambientalista, tutte rimaste senza risposta: «La nostra idea era di rendere questo quadrilatero una zona pedonale con sale multimediali, biblioteche o altri luoghi d’incontro. Il ragionamento da fare per questo spazio era partire proprio dai cittadini, interrogare i tessuti associativi, culturali o di assistenza per creare progetti trainanti per la collettività. Invece negli ultimi 15 anni, la politica urbanistica a Padova è stata fatta al contrario, con i privati che vanno a bussare al Comune. I processi urbanistici si devono basare sull'ascolto dei cittadini o portatori di interessi del terzo settore, oppure è necessario puntare sulla “rigenerazione urbana”, ovvero, pensando per esempio al centro Totip, anziché costruire un nuovo edifico si potrebbero riqualificare spazi già esistenti».
All'inizio del nuovo millennio, il problema della riqualificazione dell’area torna alla ribalta: è ancora il privato a fare il primo passo proponendo al Comune la costruzione di altre tre torri con altrettanti spazi commerciali. Tale offerta si dimostra fin da subito a svantaggio dei residenti che non sentono l’esigenza di nuovo cemento e servizi ridondanti. Così, nel 2006, attraverso un referendum, la popolazione boccia il progetto e il Comune, in virtù anche della crisi edilizia che sconsiglia nuovi interventi urbani, segue il volere della cittadinanza.
I polmoni verdi: tra la nascita di un parco a San Carlo e il pioppeto ridotto per far spazio a ponte Unità d'Italia
Nel Documento unico di programmazione 2016-2018 presentato all'inizio dell'anno, tra le finalità che il Comune si propone di raggiungere, c'è anche un deciso intervento di riqualificazione dell'Arcella:«L’obiettivo è avviare una rigenerazione urbana che proceda per piccoli passi concordati con i cittadini. Dopo l’azione antidegrado e in favore della sicurezza, le iniziative consisteranno nel favorire il commercio e la creazione di spazi aggreganti la socialità di tutto il quartiere Arcella. Sarà impedita la cementificazione e la costruzione di mostri di calcestruzzo, mentre saranno promossi spazi aggregativi e una vera piazza Azzurri d’Italia. Il piano dovrà prevedere anche la realizzazione di un parco nei pressi della chiesa di San Carlo».
Abbandonato, dunque, il progetto Gregotti, l'intenzione è quella di donare un polmone verde che attualmente manca nel rione centrale, mentre è presente a Pontevigodarzere con parco Morandi e nella prima Arcella col parco Milcovich. Padova, in rapporto alle altre città italiane, dispone nel complesso di una buona percentuale di aree verdi, ma nel quartiere 2 Nord, in relazione alla forte densità abitativa (5.832 abitanti per Kmq, secondo i dati del 2015 del Comune di Padova), i polmoni nella zona sono limitati: se il parco dinanzi alla fornace Morandi è simbolo di valorizzazione, parco Milcovich ha subìto un percorso più travagliato. Non è molto grande, attualmente è abbastanza frequentato soprattutto per la presenza di campi da basket e giostre per i più piccoli, ma è un parco che nei decenni precedenti è stato spesso in ombra, luogo principalmente di spaccio e che ha vissuto la forte concorrenza con il patronato di Sant'Antonino, molto attrezzato e organizzato per ospitare famiglie e bambini. Inizialmente abbandonato, quando il patronato ha chiuso temporaneamente per i lavori di restauro, il Milcovich è rinato.
Tuttavia proprio nell'aria est all'ingresso dell’Arcella, il Comune ha attuato l’ultimo e significativo intervento urbano nel quartiere a nord di Padova, dopo la costruzione della linea del tram: il ponte Unità d’Italia. Inaugurato nel 2011 dopo 13 anni di gestazione, il cavalcaferrovia cuce l’Arcella da via Jacopo Avanzo col cuore della città e con la fiera, ma per la realizzazione delle sue enormi rampe è stata sacrificata un’ulteriore fetta di verde. Andrea Nicolello Rossi racconta l’evoluzione del progetto: «Il cavalcaferrovia nasce come accordo con il privato e prevede anche la costruzione di cinque unità abitative. Anche se non direttamente usufruibile per la presenza del pioppeto, quest’area era comunque uno spazio ecologico; adesso, invece, è molto ridotto. Il ponte va benissimo dal punto di vista del collegamento Arcella- centro, ora è usato poco, ma potenzialmente diventerà l’ingresso alla fiera di Padova per tutti quelli che verranno dall'autostrada grazie a una bretella, il cosiddetto “arco di Giano”. Un’idea nata agli anni ‘80, ma bloccata dalla popolazione perché l’arco veniva visto come ulteriore barriera. In realtà pian piano lo stanno portando al termine e nell'insieme, a livello urbano, a causa della sua imponenza sarà una forte separazione e demarcazione che si aggiunge al treno. In una logica di diminuzione del traffico questo che senso può avere?».
Nelle foto, l'ex fabbrica Sangati. Si ringrazia Bogdan Gottardo per la concessione.