Arcella, un quartiere tra postfordismo e superdiversity
Il quartiere, passato nel corso degli anni dalla centralità delle industrie alla delocalizzazione, rispecchia il disegno logico che governa l'attuale società. Con i suoi molteplici ed eterogenei attori, l'Arcella potrebbe rappresentare un incubatore della futura visione globale.
“C’è un filo logico e la gente inciampa”: scritta con vernice nera su un muretto all'incrocio tra via Pizzolo e via Durer, questa frase, nella sua essenzialità, rappresenta l’Arcella odierna. Perché per distrazione o perché troppo presi dalla quotidianità o per semplice mancanza di spirito d’osservazione, quando si parla del quartiere a nord di Padova non si ha la visione d’insieme di quel disegno logico, figlio dell’evoluzione dei tempi e della globalizzazione, che governa l’attuale società.
La crisi dei ruoli standard in una società meno omogenea
La collettività è coinvolta in una fase di transizione epocale: pensando ai percorsi lavorativi o personali, sono cambiati i rapporti con chi si ha accanto, viene richiesta sempre più flessibilità e si vive in costante proiezione inseguendo nuovi flussi di mobilità. Insomma, ogni individuo è meno inquadrato in ruoli che la società precedente aveva cristallizzato. E proprio in un momento di cambiamento come questo, l’Arcella, con i suoi molteplici attori, potrebbe rappresentare un incubatore della futura visione globale.
Claudia Mantovan, ricercatrice nel dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata dell'Università di Padova, nel libro “Quartieri contesi”, ha condotto un’analisi empirica sul quartiere padovano che, per i fenomeni che lo caratterizzano, al meglio descrive l’evoluzione degli assetti sociali: «L’Arcella, come tutte le zone in Italia vicine alle stazioni vive in maniera più estrema quelle che sono le problematiche della città contemporanea postfordista, nella quale, dagli anni ’70-‘80 in poi, è venuta meno l’omogeneità, l’industria si è delocalizzata, c’è grande frammentazione e si concentrano gli estremi sociali, come gli emarginati e i migranti. L’Arcella ha subìto un grande mutamento, quindi, in parte, oggi ha bisogno di ricostruire la coesione precedente: adesso c’è una grande eterogeneità anche tra gli autoctoni, mentre in passato se pensiamo all'ambito lavorativo con la presenza della grande fabbrica, c’erano dei ruoli standard e maggiore organizzazione tra i residenti. Andato in crisi tutto questo, siamo in una fase di nuova scoperta che servirà a rigenerare la comunità».
Dalla distruzione del quartiere allla ripresa delle fabbriche: nasce l'identità dell'Arcella
Al passaggio tra l’Ottocento e il Novecento, proprio la crescente centralità dell’industria porta la zona a nord di Padova a popolarsi: l’inaugurazione del cavalcavia Borgomagno nel 1903, il primo viadotto in calcestruzzo armato realizzato in Italia (come racconta lo storico Leopoldo Saracini nel libro “Padova Nord”), sancisce un passaggio importante e segna la nascita della “Padova nova”, un fulcro di sviluppo demograficamente ed economicamente diverso dal centro storico. La strategica vicinanza della ferrovia, costruita nel 1842, spinge le fabbriche a trovare qui un terreno fertile per insediarsi, portando i lavoratori, assieme alle loro famiglie, ad agglomerarsi attorno ai centri produttivi: così dal Borgomagno inizia il naturale prolungamento dell’Arcella con l’edificazione di case a schiera (alcune in stile Decò e Liberty sono ancora visibili). Il quartiere assume gli aspetti tipici della città fordista: una periferia operaia con una concentrazione massiccia delle attività industriali all'interno del tessuto urbano nel quale lavoro e tempo libero condividono i medesimi confini. Da questa duplice relazione si crea la forte identità che sarà, poi, peculiare e trainante per l’Arcella soprattutto dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Leopoldo Saracini racconta che il primo attacco aereo, quello del 16 dicembre 1943, inaugura, fino alla primavera del ’45, quasi due anni di terrore per gli abitanti costretti a fuggire nelle campagne per trovare rifugio. Il bilancio è il più grave tra tutti i quartieri della città: circa 400 morti e oltre 500 tra feriti e invalidi; le bombe radono al suolo il 90% degli edifici, compresi scuole e cimitero, ma nella desolazione generale, il campanile del Santuario dell’Arcella rimane saldamente in piedi, rappresentando l’icona della rinascita del quartiere. Questo demarca un passaggio importante nella cronologia dell’Arcella. E’ a partire da questo istante che i cittadini dimostrano il loro legame con il territorio: alcuni scelgono di trasferirsi in altre zone della città, ma in molti preferiscono rimanere e rimboccarsi le maniche per ricostruire la propria casa e per mantenere salda la comunità che, successivamente, trova risorse e posti di lavoro sulla spinta della macchina industriale messa in moto nuovamente grazie a realtà produttive come la Golfetto, la Sangati, la ditta Pessi o la fornace Morandi.
Gli "sguardi" nel quartiere: foto e storie
Un quartiere al centro di due flussi: l'emigrazione e l'immigrazione
Ma con la crisi dei valori della società fordista e la conseguente ristrutturazione dei processi industriali e lavorativi, sempre più diversificati e soggetti a cambiamenti molto repentini, l’Arcella entra in un vortice di continui mutamenti non solo morfologici, ma anche antropologici. «Se è comunque vero che un tessuto urbano si sedimenta progressivamente nel tempo, attraverso ripetute ricostruzioni e rifacimenti, prima di stabilizzarsi assumendo un’identità propria, nel nostro caso – spiega Leopoldo Saracini - il processo di definizione tipologica è ancora in piena evoluzione…All'inizio degli anni ’90 era già in atto una nuova e più radicale trasformazione tipologica del tessuto umano sociale ed economico del quartiere, mentre la forma di residenzialità diventava sempre più mobile e temporanea».
Analizzando effettivamente i dati demografici del Comune di Padova, se da un lato il dato della popolazione dell’Arcella si attesta su un numero pressoché immutato (nel 1995 erano presenti 40.047 abitanti, nel 2015, invece, 39.145 residenti), causato dal decremento della natalità e dall'invecchiamento dei residenti (4.963 abitanti hanno 75 anni o più, il dato più alto tra tutti i quartieri di Padova), dall'altro è evidente come il quartiere sia soggetto allo scontro di due flussi contrari, uno in entrata e uno in uscita. Un’ulteriore prova della dinamicità del territorio: nel 2015, 1.339 persone hanno deciso di trasferirsi nel quartiere 2- Nord, che comprende oltre l’Arcella propriamente detta (ovvero la zona retrostante alla stazione) anche San Bellino, San Carlo, Santissima Trinità e Pontevigodarzere, mentre 1.232 individui hanno fatto la scelta inversa, spostandosi altrove. Numeri che, in parte, risentono del grande movimento studentesco: Padova accoglie ogni anno circa 15.000 universitari e molti trovano una stanza o un alloggio in affitto proprio nell'Arcella sia per i prezzi più bassi, ma anche perché attratti dagli spazi più ampi e dalla multiculturalità.
Superdiversity: la complessità del "fenomeno nel fenomeno"
La forte presenta etnica, infatti, è un ulteriore elemento caratterizzante: nel quartiere a nord di Padova, sempre seguendo i dati del 2015 del Comune, gli stranieri residenti sono 10.485 su un totale di poco più di 30.000 in tutta la città. Claudia Mantovan ha analizzato la complessità di questo “fenomeno nel fenomeno”: «C’è una rappresentazione molto semplificante nei media con una sola linea di demarcazione italiano/straniero, ma, negli ultimi anni, è stato coniato il termine inglese “superdiversity” per spiegare che gli stessi flussi migratori sono eterogenei. Prima a spostarsi erano soprattutto uomini con medesimo livello di istruzione e provenienti da stessi paesi, adesso, invece, anche perché portati a fuggire dalle loro terre, viaggiano intere famiglie; altri si spostano per ricongiungimento familiare o per motivi di studio. Gli arrivi rapidi e consistenti, inoltre, hanno fatto mancare i normali tempi di adattamento, creando nella cittadinanza un senso di invasione o espropriazione degli spazi».
La parola "superdiversity", coniata nel 2007 dal sociologo Steven Vertovec, fa riferimento alla crescente frammentazione ed espansione delle piccole comunità di immigrati, fra le quali sussistono non solo differenze geografiche, ma anche temporali se si pensa agli stranieri ormai residenti in città da più di 20 anni e pienamente integrati nel tessuto urbano. Eppure, all'interno di questa poliedricità, emerge un paradosso, molto marcato quando si parla dell’Arcella, che appiattisce ogni distinzione: i mezzi di comunicazione e amministrazioni varie, puntando il dito in questa zona, instaurano processi di stigmatizzazione e criminalizzazione e fomentano le paure degli autoctoni verso un “nemico unico”. Claudia Mantovan, invece, va più a fondo: «Alcun attori sociali, come i comitati cittadini, hanno costruito l’immagine di immigrato criminale. Questi sono composti prevalentemente da anziani, ma, se poi si va a scavare, il problema criminale non è predominante: emergono, invece, altre criticità come la cattiva qualità dello spazio urbano e “conflitti” intergenerazionali più che interetnici. Alcuni, per esempio, si lamentano per la mancanza di educazione da parte dei giovani e, intervistando un consigliere di minoranza del consiglio di quartiere, la cosa che mi ha sorpreso è che lui non conosceva una sola associazione di stranieri nell'Arcella».
La rete sociale e la storia del quartiere come traino per l'integrazione
Ma il superamento della marginalità, che non dev’essere intesa solo in relazione allo straniero, ma anche pensando agli stessi italiani senza fissa dimora o altri soggetti esclusi, è una delle sfide che i residenti del quartiere, grazie alla nascita di nuove trame sociali, hanno preso a carico. L’Arcella rappresenta, con le sue complicazioni e strutture, la proiezione della società liquida del secolo attuale e nella ricerca della sua nuova coesione non deve smarrire l’identità-pilastro del suo passato.
Leopoldo Saracini, rivolgendo lo sguardo al campanile del Santuario, simbolo della centralità del quartiere, traccia la linea: «Il tumultuoso sviluppo del ‘900 e le nuove e per molti aspetti imprevedibili evoluzioni degli ultimi decenni, hanno radicalmente trasformato il volto e la realtà del territorio di “Padova Nord”, mentre si propongono questioni e sfide assolutamente nuove, tre le quali l’immigrazione e l’acculturazione dei nuovi gruppi etnici sempre più presenti e numerosi. E’ proprio sul terreno di queste nuove sfide che si misurerà la capacità vitale, l’apertura al rinnovamento e la forza culturale della popolazione locale tanto legata alle proprie tradizioni e alla propria identità da suggerire a qualche originale giornalista l’uso del termine “Arcellanitas”, in evidente parallelo con l’antica “Patavinitas” di gloriosa memoria».