Non solo canzonette. Dalla letteratura alla canzone d’autore

I profondi legami tra il rock progressivo dei Settanta e Ottanta del Novecento, prima ancora le folk-song degli anni Cinquanta e Sessanta, Dylan, e la letteratura, compresa quella religiosa, sono il centro focale dell’ultima fatica di Marco Testi: “La cetra e la penna”

Non solo canzonette. Dalla letteratura alla canzone d’autore

I profondi legami tra il rock progressivo dei Settanta e Ottanta del Novecento, prima ancora le folk-song degli anni Cinquanta e Sessanta, Dylan, e la letteratura, compresa quella religiosa, sono il centro focale dell’ultima fatica di Marco Testi: “La cetra e la penna” (Àncora, 2024, 206 pagine, 19 euro).
L’autore, storico della letteratura, critico letterario su Sir e altre testate, presenta una novità nel panorama editoriale: affronta i rapporti tra la letteratura -indietro nel tempo fino all’Ecclesiaste, ai Provenzali, a Dante- e la canzone, soprattutto, ma non solo, quella dell’impegno sociale e politico della seconda metà del secolo breve.
È così che ci accorgiamo come alcuni quadretti anti-romantici, ad esempio contro le coppie “borghesi” e le noiose, sonnacchiose domeniche presenti in Claudio Lolli, in De Andrè e De Gregori, solo per fare pochi nomi, vengano da molto lontano: dal Leopardi del Passero solitario, ad esempio, o del Sabato del villaggio e di La sera del dì di festa, ripreso, non sempre coscientemente, da poeti come Baudelaire, Rimbaud, Prévert, Eluard, e poi da cantautori come Brel e Brassens. E che il testo, davvero suggestivo, di una canzone del gruppo degli Osanna, con lo “scandalo” di chitarre distorte e sintetizzatori che si mescolavano con gli archi di un’orchestra sinfonica, “There will be time”, dal sottotitolo alla maniera medievale di “Canzona”, di Luis Bacalov, veniva da molto lontano. Un testo, in inglese, “ci sarà tempo per incontrarci e giocare, ci sarà tempo per fingere di avere una ragione per tardare, ci sarà tempo per morire e per creare” che terminava con “ho passato interminabili pomeriggi contando i mei giorni con i cucchiaini di caffè alla ricerca di qualcosa che è già stato mio”, scrive Testi, deriva per vie davvero inaspettate dall’Ecclesiaste di “C’è un tempo per nascere e un tempo per morire (…) un tempo per amare e un tempo per odiare”, con la altrettanto sorprendente mediazione dei tè e dei caffè di Eliot e di uno dei padri della folk song, il Pete Seeger di “Turn turn turn”, che è, avverte il critico, una ripresa dell’Ecclesiaste.
In “La cetra e la penna” è presente, nel capitolo “Solitudine, calvinismo e rock & roll”, l’esempio dei Beatles di “Eleanor Rigby” e “The fool on the hill” e di altre canzoni: il gruppo di Liverpool ha debiti indiretti con le solitudini poetiche di Laforgue, di Baudelaire e molti altri.
Un capitolo a parte Testi dedica alle traduzioni-tradimenti, cioè a quelle canzoni che nella versione originale presentavano significati completamente diversi dalle traduzioni italiane, ad esempio la profetica “The sound of silence” di Simon e Garfunkel, che anticipa la solitudine e la perdita di identità nella società consumistica (eravamo sessanta anni fa!): “Le parole dei profeti sono scritte sui muri delle metropolitane e negli ingressi dei caseggiati, e sussurrano il suono del silenzio”, diventata in italiano una canzone d’amore.
La presenza simbolica di cavalieri e di animali in alcune canzoni, come quelle di Branduardi ma anche di Lucio Dalla o Vecchioni viene ricondotta certamente alle fiabe o ai cicli medioevali, ma anche alla mediazione di scrittori, come il “misterioso” Lautréamont o Rimbaud, come anche il canto dell’amicizia che si vorrebbe per sempre in Dylan, e che viene dal Dante di “Guido, i’ vorrei” e da molto altro.
E in realtà c’è davvero molto altro in un libro, il primo a farlo, che parla del ritorno del mito in alcuni testi di canzoni, del viaggio inteso anche come esplorazione del sé profondo, e che fa pensare soprattutto a quello di Dante nei tre regni dell’Aldilà e che ritorna in Rimbaud, in Dino Campana e però pure in Brel, e poi nel nostro Luigi Tenco e in Dylan, oltre che in De Gregori e anche qui, in tanti altri.
Un libro che rappresenta una nuova modalità di ricerca letteraria, che abolisce i confini tra letteratura “alta” e quella “bassa” dei testi delle canzoni. Anche perché Dylan, Cohen, De Andrè -e non solo- oggi sono tra gli autori presenti in alcuni libri di testo. Era ora.

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Fonte: Sir