Non facciamo più figli. Così tramonta l’Italia
Nel 2017 si conteggiano 464 mila nascite, nuovo minimo storico, in calo del 2 per cento rispetto al 2016. Secondo l’Istat, al 1° gennaio 2018 si stima che la popolazione ammonti a 60 milioni 494 mila residenti, quasi 100 mila in meno. Il saldo naturale nel 2017 è negativo (meno 183 mila) per il terzo anno consecutivo. Cosa ci riserva il futuro?
I dati dell’Istat ci consegnano un’Italia più vecchia e con ancora meno bambini. Gli indicatori demografici rilevano come al primo gennaio 2018 la popolazione italiana conti quasi 100 mila residenti in meno rispetto all’anno precedente. Superata la soglia dell’emergenza, bisogna insomma ormai parlare di crisi strutturale.
«Le statistiche – sottolinea Gian Carlo Blangiardo, docente di demografia all'Università di Milano Bicocca – lanciano un messaggio preciso. I dati ci dicono che stiamo attraversando una crisi demografica senza precedenti, con un’importanza pari alla crisi economica. Ma mentre abbiamo discusso molto per risolvere la crisi economica, non si vede analogo coinvolgimento per la crisi demografica in cui siamo finiti. Scopo della statistica non è risolvere i problemi ma evidenziarli, insieme agli elementi che li fanno nascere. E i dati ci dimostrano che ci infiliamo sempre di più in un tunnel».
Il primo elemento rilevante è il calo della natalità.
Ogni anno stabiliamo il record della più bassa natalità di sempre. Abbiamo un saldo naturale negativo per 183 mila unità, il terzo valore mai registrato nella storia italiana: gli altri due sono stati nel 1917, in piena prima guerra mondiale, e l’altro nel 1918, quando alla fine del conflitto si aggiunse l’epidemia di influenza Spagnola. Oggi, nel 2017, anno di pace e di epidemie sconfitte, un secolo dopo abbiamo toccato il terzo valore negativo. Il primo caso di diminuzione della popolazione è stato nel 2015, con meno 130 mila unità, nel 2016 nuovo calo con meno 77 mila, infine nel 2017 meno 100 mila. In soli tre anni abbiamo perso 300 mila abitanti, quasi si fosse cancellata una città come Catania.
E per quanto riguarda le cause? I dati non le forniscono ma sono note…
Si può fare come Poirot: partiamo dagli indizi e rintracciamo l’assassino. Le famiglie italiane fanno pochi figli perché incontrano innumerevoli difficoltà e devono arrangiarsi in tutto, stante che il sistema non li aiuta anche se ne beneficerebbe. Chi, eroicamente, fa la scelta di investire in una famiglia di più di due figli, si trova di fronte a un clima diffuso che non dà gratificazioni, ma mortifica. Poi, è chiaro anche che gli uomini e le donne di oggi non sono più quelli di cinquant’anni fa: manca la propensione al sacrificio, il lavoro è più instabile, sono cambiati i valori. Essere genitori è ancora una missione importante, ma viviamo in una società in cui le donne realizzano che, dopo aver investito in studi e carriera, la nascita di un figlio le penalizzerebbe, e allora rimandano la maternità. In gioco non è la rinuncia, ma il rinvio, solo che partono già svantaggiate perché cominciano a pensare a un figlio a trent’anni e poi lo cercano a quaranta. A questo punto, se già faticosamente riescono ad averne uno, difficilmente faranno il secondo.
Secondo elemento di criticità è l’invecchiamento della popolazione.
L’età media degli italiani è 45 anni, con una popolazione anziana in aumento. Al 1 gennaio 2018, il 22,6 per cento della popolazione ha un’età compiuta superiore o uguale ai 65 anni, il 64,1 compresa tra 15 e 64 anni, il 13,4 ha meno di 15 anni. All’inizio del 2018 gli ultra 65enni sono poco più di 13 milioni e mezzo ma arriveranno a quasi 20 milioni nel giro di 30 anni e supereranno il 30 per cento della popolazione. Allo stesso modo, quelli che hanno almeno 90 anni sono oggi 700 mila e diventeranno quasi 2 milioni e mezzo entro quarant’anni. Percentuali pesanti su un Paese che continua a mantenersi stabile attorno ai 60 milioni di abitanti.
Qual è la prima conseguenza di questa situazione?
È evidente che vanno affrontati nuovi equilibri e nuove regole sul fronte del welfare, che necessiterà di un ripensamento dai costi ingenti. Ci si sta prospettando un futuro sempre più difficile da governare e più aspettiamo e più il prezzo da pagare si farà alto.
Questo è il messaggio da mandare a una classe politica che continua a infilare la testa nella sabbia e non capisce che non intervenire per arginare questa tendenza in atto contribuisce a peggiorare il futuro.
Ci sono dei rimedi immediatamente applicabili?
Dentro un cassetto della Presidenza del Consiglio c’è il Piano nazionale della famiglia, 40 pagine in cui si diceva come fare per ricostruire la famiglia e, quindi, il Paese. Nel 2011 è stato tirato fuori per essere approvato dall’allora governo Monti, ma poi, una volta apposti i timbri, è tornato nel cassetto, dove langue tuttora. Quello che dice il Piano è che non basta il bonus bebè, che non si sa mai se ci sarà o se non si troveranno i fondi, ma che servono norme più serie sul piano fiscale, su quello delle tariffe, sulla conciliazione di lavoro e maternità. Invece, quando si parla di queste cose, continuiamo ad assistere alle sfilate di politici che dicono di essere “sensibili al problema” ma poi finisce tutto lì.