San Prosdocimo. L'estate dei giovanissimi del vicariato a servizio dei migranti
Gli adolescenti di quattro parrocchie del vicariato – Madonna Pellegrina, Cristo Re, San Camillo e San Paolo – hanno vissuto un'esperienza al Centro Astalli di Trento a inizio agosto accanto a loro coetanei rifugiati nel nostro paese. Stupefatti per l'identità di vedute e di stile di vita, hanno creato relazioni anche grazie allo scambio di lettere che ha anticipato il viaggio.
Fuori dall’acrimonia e dalla banalità delle frasi fatte.
Lontano dai “sentito dire” e dal chiacchiericcio dei salotti televisivi.
Nella serata di giovedì 7 settembre, al cinema Rex di Padova, una trentina di ragazzi dalla terza alla quinta superiore delle parrocchie di Madonna Pellegrina, San Camillo, San Paolo e Cristo Re, del vicariato di San Prosdocimo, hanno raccontato con le loro parole e con il loro stile l’esperienza vissuta dal 3 al 9 agosto scorsi a Trento presso il Centro Astalli, struttura dei gesuiti che da decenni, in varie città d’Italia, offre assistenza ai rifugiati.
Assieme a loro c'erano Yahya, Moussa, Bakary e Reagan, ragazzi di 19 e 20 anni, che hanno avuto modo di condividere con i loro coetanei italiani alcuni giorni spensierati prima di tornare a vivere in una vecchia caserma assieme ad altre centinaia di africani.
Questo campo, molto diverso dalle altre esperienze estive, è nato da uno scambio con Giorgio Romagnoni, giovane del vicariato che da due anni lavora al Centro Astalli come assistente legale e accompagna i richiedenti asilo di fronte alla commissione che ne certifica o meno lo status di rifugiato.
«Al di là del clima attuale, che è orribile – commenta Giorgio Romagnoni – si scopre che è possibile, quando le incontri e le conosci, stare insieme alle persone. La serata al cinema Rex è servita a restituire alla comunità la bellezza di quei giorni: protagonisti sono stati i ragazzi, così da poter insegnare molto di quello che hanno sperimentato a noi adulti».
I ragazzi di San Prosdocimo sono stati ospiti a Villa Sant’Ignazio, struttura di proprietà dei gesuiti aperta all’accoglienza e realtà sociale molto attiva nel tessuto di Trento.
«Il campo è stato deciso nelle ultime settimane del 2016 – racconta ancora Romagnoni – ed è stato così possibile aiutare i ragazzi a prepararsi per tempo. Fin dalla primavera hanno potuto intrattenere una corrispondenza con alcuni rifugiati che poi hanno incontrato». Lettere fitte di quesiti, curiosità e racconti che non hanno fatto altro che aumentare l’attesa per questo momento di incontro.
Nei giorni del campo i giovani hanno conosciuto una galassia di associazioni, istituzioni, mediatori culturali e volontari che gestiscono il fenomeno affrontandone le diverse problematiche.
Con i componenti del presidio di Libera contro le Mafie di Rovereto, hanno approfondito il fenomeno dello sfruttamento delle categorie sociali deboli, mentre con altri giovani che stanno concludendo un anno di servizio civile al Centro Astalli si è parlato di come aiutare queste persone a fare il loro ingresso nel mondo del lavoro.
Ma il valore aggiunto dell’esperienza è stata quella di condividerla con coetanei che vengono dall’altra parte del mondo: «Ci siamo resi conto – scrivono i giovani delle quattro parrocchie padovane – che nonostante la grande differenza culturale presente tra noi, siamo davvero uguali. Abbiamo scoperto che ascoltiamo la stessa musica, seguiamo le stesse celebrità dello sport e del cinema. Questo campo è stato importante sia per l’amicizia che ha fatto nascere, sia perché ci ha permesso di renderci conto, almeno in parte, delle tante difficoltà che i migranti sono costretti ad affrontare».
Con il Centro Astalli, il cui motto è “Accompagnare, servire e difendere i richiedenti asilo e i rifugiati”, Giorgio Romagnoni lavora per implementare la cosiddetta “terza accoglienza”, offrendo supporto legale, psicologico (c’è chi è reduce da torture), percorsi di ospitalità e di alfabetizzazione.
«Il rischio vero è che le persone finiscano come le cronache da Roma hanno raccontato in questi giorni, sfruttate e in stabili occupati. Noi cerchiamo di mettere in piedi una realtà dove i rifugiati possano invece essere aiutati nel loro cammino verso l’autonomia».