Oliviero Forti alla base di Conetta: «Più corridoi umanitari, meno ipocrisie»
In occasione dell'incontro formativo tra i migranti proposto dall'istituto San Luca a tutti i preti della diocesi di Padova, è intervenuto Oliviero Forti (ufficio immigrazione di Caritas italiana) che ha ribadito la necessità di cambiare modelli d'accoglienza: «Come si può pensare di proteggere chi fugge dalle morte e respingere chi fugge dalla fame?».
«Come si può pensare di proteggere chi fugge dalle morte e respingere chi fugge dalla fame?». La domanda è risuonata giovedì 18 maggio nei locali della ex base di Conetta, nel Veneziano. A porla, Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas Italiana (nella foto accanto a don Luca Facco, direttore di Caritas Padova). Di fronte a lui una novantina di preti della diocesi di Padova, presenti in uno dei più grandi centri di accoglienza per richiedenti asilo del paese: 1.200 migranti in attesa di futuro.
Una società impreparata Una serie di dati per spiegare il fenomeno in atto – nelle parole di Forti – e poi un elenco di luoghi comuni da smontare con la forza degli argomenti. Anzitutto lo stigma dell’immigrato economico: «Non è possibile stabilire delle classifiche tra chi scappa dalle bombe di Assad e chi raggiunge l’Europa per lasciarsi alle spalle la terribile carestia del Corno d’Africa» ha argomentato il funzionario Caritas. «Se certa politica mette in campo distinzioni come queste, credo che noi come chiesa dobbiamo puntare alla protezione a tutti i livelli».
Il vero problema legato all’accoglienza, secondo Forti, è piuttosto lo stato inconsapevole nel quale la società italiana si è fatta sorprendere due anni fa quando sono iniziati i flussi più massicci. «Per decenni ci siamo adagiati nel benessere, intendendo l’Africa e ampie porzioni di Asia e Sud America come isole di povertà, lontane da noi. Finché i poveri non hanno iniziato a mettersi in viaggio. Ci sentiamo disorientati perché profondamente impreparati. Non comprendiamo perché tutto d’un tratto 200 mila persone sbarcano a casa nostra».
Alcuni dati E di questa impreparazione fa parte anche la diffusa convinzione che tutti i migranti vengano in Italia. I numeri: nel Belpaese si trovano oggi 180 mila degli oltre 500 mila sbarcati negli ultimi anni (25 mila ospitati in strutture della chiesa cattolica). Ma soprattutto, non è verso le nostre coste che fa rotta la maggioranza di chi parte. L’ultimo rapporto dell’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, riporta i dati relativi al 2015: sui 64 milioni di migranti in tutto il mondo, solo 1 milione e 15 mila sono sbarcati sulle coste europee. I primi sei paesi per accoglienza erano Turchia (2,5 milioni), Pakistan (1,6 milioni), Libano (1,1 milioni), Iran (979 mila), Etiopia (736 mila) e Giordania (664 mila).
Corridoi umanitari Proprio in Etiopia, ad Addis Abeba, Caritas Italiana è al lavoro in queste settimane per realizzare una nuova serie di corridoi umanitari con l’obiettivo di trasportare in Europa, attraverso canali ufficiali, 500 cittadini eritrei, somali e sud-sudanesi, che da 15 anni vivono in campi per sfollati. Sarà una nuova iniziativa lanciata da organizzazioni legate alla chiesa cattolica che già oggi ospita 25 mila migranti sui 180 mila totali presenti sul territorio nazionale anche grazie al progetto “Rifugiato a casa mia”.
«Se non individuiamo vie sicure e legali di ingresso – è il commento di Forti – tra 50 anni ci troveremo ancora in questa situazione», per risolvere la quale lo slogan “aiutiamoli a casa loro” è valido fino a un certo punto. «Questa si chiama cooperazione internazionale, uno strumenti molto prezioso di cui però potremo vedere i frutti solo tra anni. Inoltre, bisogna tener conto che oggi in Africa in molti non partono per mancanza di soldi. Portare risorse in loco, significherebbe, almeno in un primo momento, fornire le risorse per nuove partenze».
Incapacità politica Senza calcolare la difficoltà di individuare interlocutori affidabili, almeno nel panorama politico del continente africano. E qui il funzionario Caritas non risparmia una stoccata alla politica migratoria dei governi dell’attuale legislatura: «Luoghi come Conetta sono il simbolo dell’incapacità della politica di pianificare un vero sistema di accoglienza in Italia. Il ministero dell’interno stringe accordi con Al-Serraj, premier libico non certo riconosciuto da tutte le componenti del suo paese e invia uomini per formare la guardia costiera libica perché blocchi i traffici. Però nessuno è in grado di stringere accordi con quei 6 mila sindaci italiani (su 8 mila, ndr) che ancora alzano barricate contro l’accoglienza. E quindi ecco sorgere i grandi hub». Senza paragonare l’approccio italiano a quello tedesco alla questione.
All’annuncio di Angela Merkel di accogliere 1 milione di siriani, in Germania è seguito l’inserimento di 20 mila nuovi operatori nelle strutture governative. Alla chiesa il compito di «fare politica attraverso le azioni quotidiane» in un contesto in cui «l’impegno umanitario è diventato un disvalore» e «organizzazioni come la Caritas perdono di fiducia» e ci sono procuratori generali che mettono sotto accusa Ong senza prove concrete. «Come chiesa dobbiamo smarcarci, i diritti fondamentali della persona siano la nostra barra di navigazione».