Monselice. La riflessione della parrocchia del Duomo sulle grandi questioni diocesane
Identità comunitaria, catechesi, poveri, giovani, il ruolo dei sacerdoti nelle dinamiche parrocchiali. Una lunga serie di temi che animano la vita della diocesi di Padova, su cui la Difesa ha impostato un dialogo con le comunità parrocchiali del territorio. Al Duomo di Monselice è evidente la scelta di anteporre a tutto le relazioni. Al punto di coniare la figura del "ministro della relazione".
Iniziative, progetti, attività? «Prima di tutto ciò vengono i legami».
Chiara Zambon accompagna i genitori nel percorso di iniziazione cristiana al Duomo di Monselice e mette a fuoco fin dapprincipio l’asse portante della vita comunitaria ai piedi della Rocca. Le relazioni prima di tutto, insomma. È il ritornello virtuoso a cui il parroco, don Sandro Panizzolo, e un manipolo di laici impegnati tornano costantemente nella loro riflessione sulle grandi questioni che animano la vita della diocesi di Padova: identità comunitaria, catechesi, poveri, giovani, il ruolo dei sacerdoti nelle dinamiche parrocchiali.
Le relazioni anzitutto
Significa che la sfera operativa viene accantonata? «Vuol dire semmai concederci di partecipare come possiamo, senza trascurare gli impegni lavorativi e familiari» riprende Chiara. Il senso di colpa per non riuscire a fare tutto e al meglio, in parrocchia, è una “sindrome” diffusa a tutte le latitudini tra gli operatori pastorali, «e rischia di isolarci», mettendo pericolosamente in secondo piano il dialogo con chi è meno coinvolto o vicino alla quotidianità comunitaria.
Ma di questo Monselice è consapevole, al punto che le relazioni sono state approfondite a più riprese durante lo scorso mandato del consiglio pastorale, come spiega l’attuale vicepresidente Silvia Muttoni: «È evidente: i legami si creano “facendo”. Ma non basta. Abbiamo insistito perché in ogni gruppo del “fare” ci siano momenti di spiritualità e preghiera per caratterizzare per davvero come cristiana la nostra comunità. Oggi notiamo come anche i singoli progetti ne escano rafforzati».
L’immagine plastica di Monselice Duomo la tratteggia Rita Veronese, referente della Caritas parrocchiale: «Una serie di cerchi concentrici – illustra – Più vicini al centro coloro che frequentano stabilmente. Poi chi lo fa in modo saltuario. Infine chi entra in contatto con la comunità, magari per i servizi che offre». Un approccio utilitaristico? Non proprio, come testimoniano i due fedeli musulmani che diventeranno cristiani a Pasqua. Persone che, come le altre otto che le hanno precedute negli ultimi sette anni, sono passate da ricevere un aiuto a porsi interrogativi esistenziali e di fede, chiedendo poi il battesimo, in alcuni casi celebrato anche in segreto.
I ministri della relazione
Tornando alla riflessione del consiglio pastorale, emerge una figura inedita nel panorama ecclesiale, quel “ministro della relazione” che per ora rimane un’intuizione, ma in futuro si vedrà:
«Si tratta di un membro della comunità formato alle relazioni – spiega don Sandro – che irradia la presenza della chiesa nella sua sfera personale di influenza. Significa che ognuno di questi ministri rappresenta la comunità nel suo condominio o quartiere, dove si fa prossimo e coltiva legami condivisi».
Alla base di tutto l’idea di una comunità che sta diventando “grembo della fede”, aperto al territorio. L’esempio cardine è la veglia di Pasqua e di Natale, modulare e personalizzata all’interno di un percorso comune, che da sette anni coinvolge nei tempi forti anche 800 tra giovani e adulti. Ma è anche il caso dell’iniziazione cristiana, che il prossimo 7 maggio vedrà i primi 66 ragazzi ricevere cresima ed eucaristia.
«La sfida più grande – interviene Chiara Zamboni – è restituire ai genitori la responsabilità dell’educazione alla fede nei confronti dei loro figli, ma il nuovo modello si è rivelato “ponte” con gli altri gruppi della comunità».
E per la prima volta, quest’anno i ragazzi delle medie si sono trovati di fronte nella catechesi dei 18-20enni. «Quasi tutti i componenti del gruppo si sono resi disponibili per questo servizio – sottolinea l’animatrice Francesca Pulze – Abbiamo assecondato il loro desiderio di essere più partecipi e responsabili nella vita comunitaria».
Un’attività che non si sostituisce alla formazione personale, una volta a settimana, che in questi mesi ha toccato molti temi che saranno poi trattati nel sinodo dei giovani. «Vogliono dire la loro nella chiesa – riprende Francesca – ma anche sentire che cosa la chiesa ha da dire su molti temi, come omosessualità e rapporto tra fede e sofferenza».
Le cene dell’alleanza
L’elemento caratterizzate del cammino degli adolescenti è invece il coinvolgimento delle famiglie. «È un’esperienza bellissima – racconta Diletta Soloni – Ognuna delle tappe annuali su un tema, che approfondiamo con testimonianze e film, si chiude con una cena, la cena dell’alleanza, appunto: il gruppo viene frazionato in una decina di sottogruppi, ognuno ospitato in casa di una famiglia per un momento di convivialità e un sunto del cammino fatto».
Anche in questo caso insomma a emergere sono le relazioni, quelle che «rimangono anche a distanza di dieci anni», riprende Diletta, quella «circolarità dell’amore di cui non parliamo mai – chiosa don Panizzolo – ma che risulta evidente nel modo in cui ci prendiamo cura gli uni degli altri. È questo il segreto anche nella relazione tra laici e sacerdoti. I ruoli vanno in secondo piano».