Mons. Giancarlo Minozzi nei ricordi di Giuseppe Donegà
Un prete che sapeva costruire nella comunicazione. Era “l’uomo dei mezzi di comunicazione sociale diocesani”. Mons. Giancarlo Minozzi, scomparso il 13 dicembre 2012 a 78 anni, era entrato nello staff del settimanale diocesano nel 1973, prima collaboratore di mons. Alfredo Contran, poi amministratore.
Nel 1983 è diventato direttore della libreria Gregoriana, nel 1986 fondatore e presidente dell’Euganea editoriale comunicazione, da lui pensata per accogliere in un progetto unitario, non solo dal punto di vista economico, le iniziative editoriali della diocesi; in quest’ambito è stato fondatore della Nordest pubblicità e del centro servizi Seicom. Lo stesso anno è diventato presidente della fondazione Lanza, un’altra sua creatura, voluta dal vescovo Filippo Franceschi, orientata ad attivare il dialogo della chiesa padovana con la cultura sui temi più sensibili della modernità. Nel 1990 ha assistito alla nascita di un’altra grande impresa comunicativa diocesana, Telechiara, di cui è stato presidente fino al 1999. Nel 1998 è diventato responsabile dell’ufficio stampa diocesano.
A questo quadro già imponente di incarichi, aggiungerei una briciola, minuscola ma non insignificante: al suo nascere, avendo bisogno di un direttore responsabile della testata giornalistica, anche Erretre, la radio del Centro padovano comunicazione sociale, ebbe la sua firma...
Qual era l’idea di fondo che sosteneva questo castello di iniziative (a cui ne andrebbero aggiunte varie altre “eterogenee”, come l’Opsa e il Cuamm)? Qual è lo stile, personale e istituzionale, che don Giancarlo riteneva qualificante per affermare la presenza della chiesa locale nella comunicazione? L’abbiamo chiesto a Giuseppe Donegà che ha affiancato e poi sostituito don Giancarlo in molti dei compiti amministrativi nel campo della comunicazione sociale: solo l’11 dicembre scorso Donegà ha lasciato l’incarico di presidente dell’Euganea editoriale comunicazione, di cui resta comunque componente del consiglio d’amministrazione.
«Vorrei ricordare don Giancarlo – dichiara – attraverso alcuni flash che mi vengono davanti agli occhi, sintesi di una lunga frequentazione iniziata a metà anni Novanta, quando mi affidò prima l’incarico di alcune consulenze sulle tre librerie che facevano capo alla Gregoriana e poi mi chiese di entrare nel consiglio di amministrazione dell’Eec. Il primo riguardale visite che mi faceva a Venezia, quando ero amministratore delegato di palazzo Grassi: non mancava mai di visitare, in mia compagnia, le mostre allestite in quella sede prestigiosa, dimostrando una preparazione e un’attenzione acuta alle espressioni culturali dell’animo umano, che facevano parte integrante del suo essere prete».
Il secondo ricordo riguarda la rete di relazioni che aveva saputo tessere attorno alla sua figura e al suo ruolo: «Siamo andati assieme ai funerali di Giorgio Lago, direttore del Gazzettino di cui sono stato per anni amministratore delegato. Alla fine del rito, vennero tantissimi giornalisti a salutarlo, con la cordialità e la deferenza che si tributa a una persona da cui si è imparato qualcosa. Lui rispondeva senza sussiego, con un’amicizia sorridente non priva di ironia e di autoironia».
Il terzo ricordo è legato al suo congedo dalla vita “operativa”:
«Quando ci annunciò che avrebbe lasciato tutti i suoi incarichi non potei non esprimere il mio rammarico per la sua decisione di privarci della sua esperienza e del suo pregnante giudizio. Mi rispose: ho sempre seguito pienamente la mia vocazione sacerdotale nelle cose operative che progettavo e facevo, ma ora sento il bisogno di concentrarmi esclusivamente nel mio essere prete, nella mia identità di sacerdote, senza altre distrazioni».
Don Giancarlo, secondo Giuseppe Donegà, è stato un prete capace di costruire, che ha saputo progettare sui tempi lunghi e con continuità, basandosi su intuizioni profondamente vagliate e pazientemente applicate, con rispetto dei tempi di maturazione. Un uomo che aveva il senso profondo delle cose, ma che sapeva anche relativizzare, sapeva sdrammatizzare con una battuta e un sorriso. Apprezzava la modernità, sapeva capirla, ma quando poteva scriveva i suoi articoli con la penna stilografica, con una scrittura larga e avvolgente piena di spazi bianchi tra riga e riga. Per le autocorrezioni.