La chiesa e la politica? Un impegno alla "costruzione di con-senso"
«La politica? Figlia dei tempi, all’insegna del consumo, di valutazioni e utilizzi sempre più in base alla velocità, all’immediatezza, al tornaconto personale». Il giudizio è duro, ma Gigi Gui, che di professione fa il sociologo ed è anche direttore della Scuola di formazione all’impegno sociale e politico della diocesi di Padova, non si tira indietro. E per questa via aiuta anche a comprendere il senso di un impegno ecclesiale in questo delicato campo.
«La politica? Figlia dei tempi, all’insegna del consumo, di valutazioni e utilizzi sempre più in base alla velocità, all’immediatezza, al tornaconto personale».
Il giudizio è duro, ma Gigi Gui, che di professione fa il sociologo ed è anche direttore della Scuola di formazione all’impegno sociale e politico della diocesi di Padova, non si tira indietro.
«Non vi è dubbio che stiamo vivendo un momento che potremmo definire di declino del senso della politica. Ognuno è più portato a valutare l’agire pubblico, le regole della convivenza, le scelte collettive, non in termini di bene comune ma di opportunità personali. Tutto questo porta a una visione di mero utilizzo della politica stessa in termini di vantaggi, che ovviamente devono essere immediati, rapidi negli effetti. Le risposte che si chiedono sono quelle legate alla sfera del privato, al massimo della famiglia o di una categoria di appartenenza».
Le motivazioni?
«Tutto sommato un punto centrale potrebbe essere quello della mancanza di una visione più ampia, di un “senso”, come verrebbe da dire. Certamente il crollo delle grandi ideologie che avevano caratterizzato i decenni trascorsi pesa molto in questa situazione. Non essendoci più riferimenti ideali, si è portati a guardare al “tutto e subito”, in una prospettiva di consumo dell’agire politico, più che di partecipazione. A ciò dobbiamo poi aggiungere una crescente disaffezione verso la politica stessa, un rapporto quasi distaccato, l’atteggiamento di chi chiede o prende quello che gli serve, niente più».
Le conseguenze?
«La prima di orizzonte temporale: siamo sempre più spinti a guardare al presente, senza avere una prospettiva di tempi medi o lunghi; questo incide fortemente sulla ricerca del bene comune, che invece impone prospettive e soprattutto chiede di avere pazienza. La seconda risultante è una sostanziale demoralizzazione sociale. Oggi, anche in realtà storicamente ricche di capacità aggregative come il Veneto, si fa sempre più fatica a mettersi insieme per perseguire obiettivi comuni (non di parte). Tutto questo ha inevitabili ripercussioni sulla prassi: chi mira ad avere un ruolo o ad assumersi delle responsabilità sa perfettamente che sarà giudicato nel breve e che il consenso potrebbe anche essere effimero; si lavora molto sull’immagine, sull’effetto, sugli slogan».
Da quasi trent’anni la diocesi promuove dei percorsi di formazione sociopolitica. Come si inseriscono in un simile contesto? Sono solo una provocazione?
«Può darsi; ma sostanzialmente, attraverso tale iniziativa, puntiamo a perseguire due obiettivi che sono ben chiari nei percorsi e nel metodo».
«Prima di tutto accrescere la consapevolezza. Lo studio, la ricerca, l’approfondimento, tendono a sviluppare il senso critico, per fare in modo che le opinioni e le scelte siano frutto di riflessione e non soltanto di suggestioni mediatiche o del fascino di qualche leader. In secondo luogo abbiamo voluto e continuiamo a mantenere vivo uno spazio di confronto. Vorremmo che il con-senso (non sembri solo un gioco grafico) non fosse frutto di un’opzione individuale, ma piuttosto di una posizione maturata nel dialogo, nella condivisione; il tutto all’insegna, appunto, di trovare un senso comune, che non esaurisca nell'interesse di parte».