C'è un gruppo sinodale al lavoro anche tra i corridoi della Provvidenza
Sono sei giovani fra i 23 e i 29 anni, cinque ragazze e un ragazzo. Percorsi diversi, ma accomunati dalla voglia di dedicare il proprio tempo libero agli ospiti dell’Opera della Provvidenza. E tutti desiderosi di condividere la propria esperienza con altri giovani: proprio per questo hanno dato vita a un gruppo sinodale.
Sono sei giovani fra i 23 e i 29 anni, cinque ragazze e un ragazzo.
Studenti universitari o che hanno finito il percorso di studio e si stanno affacciando al mondo del lavoro. C’è chi frequenta o ha concluso giurisprudenza, chi medicina e chi scienze della formazione.
Tutti però accomunati dalla voglia di dedicare il proprio tempo libero agli ospiti dell’Opsa, l’Opera della provvidenza sant’Antonio di Rubano che ospita disabili, malati di Alzheimer e religiosi non più autosufficienti.
E tutti desiderosi di condividere la propria esperienza con altri giovani: proprio per questo hanno dato vita a un gruppo sinodale.
Svolgono un servizio di volontariato, chi da un anno e mezzo, chi anche da quattro, che li fa interagire poco fra di loro, ma molto con gli ospiti:
«Ci conosciamo poco – afferma infatti, Viviana Zaccaro, una delle volontarie e moderatrice del gruppo sinodale nato all’interno dell’Opsa composto anche da Lynda Douangni Dommegang, Raffaele Campo, Marta Curculacos, Elena Bergamasco ed Elisa Faccin – perché il servizio che svolgiamo è molto individualistico. Si sta con gli ospiti e si interagisce poco fra volontari, anche perché abbiamo orari diversi. Nonostante ciò abbiamo sentito l’esigenza di partecipare al sinodo e portare la nostra voce. Siamo convinti che la nostra esperienza sia qualcosa di unico e particolare, se fatta con fede».
«Siamo noi a essere curati: basta un gesto, una parola, uno sguardo delle persone per sentire la fede. Comunicano una dimensione oggi dimenticata. Stare insieme a queste persone ci fa ricordare che esiste una sfera che ci rende tutti uguali: il “sentire” la vita e questo spesso si scontra con le logiche attuali, presenti alle volte anche nelle parrocchie. Qui si sperimenta la fede sentita, al di là di qualsiasi cosa e quindi è stato naturale per noi attivarci: sentiamo la responsabilità di portare il nostro contributo perché l’esperienza che viviamo ci ha aperto alla dimensione del “sentire”».
I volontari, uniti quindi da questo modo di sperimentare la fede e da questa attenzione all’altro che ne valorizza la piena dignità, pur non conoscendosi e non riuscendo a confrontarsi facilmente durante il servizio, sentono di aver raggiunto una certa affinità. Quell’affinità che non trovavano più all’interno delle loro parrocchie, nelle quali non sono riusciti a costruire una permanenza radicata e continua, ma dove comunque si son dati da fare, chi come scout chi come animatore. Ed è proprio per questo che hanno scelto di fare volontariato all’Opsa: spinti dalla voglia di uscire da logiche e realtà che ti fanno sentire imbrigliato, ti fanno percepire che manca qualcosa qualitativamente più elevato, insoddisfatti da una certa quotidianità.
Per gli ospiti i volontari sono degli amici, dei compagni di gioco in alcuni casi, anche dei confidenti.
Per i volontari gli ospiti sono dei “formatori”: insegnano loro il valore della vita, l’importanza della relazione e della gratuità dell’agire. Si instaura un rapporto diverso rispetto a quello che hanno con i parenti. Condividono momenti di gioia, partecipano insieme al rosario o alla celebrazione della messa, ma anche ai funerali. Ed è in questi momenti che traspare la semplicità, la purezza e la sincerità con cui gli ospiti vivono la fede.
«È un’esperienza che ti mette in gioco come persona – continua Viviana – ti fa crescere da un punto di vista umano. Non è una realtà facile quella che abbiamo scelto. Io personalmente ho seguito un’intuizione: è stata una decisione che ho procrastinato per troppo tempo e a un certo punto ho avuto un forte desiderio di iniziare. Venire all’Opsa mi ha aperto gli occhi soprattutto nel modo di percepire e sentire l’altro».
«Ciò che porteremo al sinodo è il senso umano del sentire se stesso e l’altro, l’umanità nella sua accezione più concreta. Trasmetteremo l’esigenza di tornare a una dimensione più umana, più attenta all’altro e meno individualistica. Porteremo testimonianza dell’importanza dell’accorgersi dell’altro, sentirlo, ascoltarlo, capirlo. Avere tempo da dedicargli, con attenzione, per ascoltare i suoi bisogni. Il servizio che svolgiamo qui è un allenamento nel guardare l’altro e nel relazionarsi con l’altro. E poi gli ospiti hanno un modo di vivere la fede più limpido, immediato, privo di orpelli e sovracostruzioni e questo per noi giovani è molto arricchente».