Arte in dialogo. Nulla più dell’immagine sa comunicare la fede
La lezione senza tempo di Giovanni Damasceno secondo Antonio Scattolini: "nei confronti delle creazioni artistiche, bisogna attivare un triplice sguardo, che per esigenze di sintesi chiameremo etico, estetico ed evangelico".
Scrive Giovanni Damasceno, un padre della chiesa vissuto circa 1.300 anni fa: «Se un pagano viene a trovarti e ti chiede “mostrami la tua fede”, tu portalo in chiesa e mettilo davanti alle immagini sacre».
È interessante osservare come questo saggio dottore della chiesa, resosi celebre per il suo impegno nella valorizzazione e difesa delle immagini sacre, faccia riferimento al primo annuncio della fede non secondo una logica esplicativa e concettuale, ma “immersiva”, in compagnia della bellezza.
Rivolgendosi a questo discepolo che deve fare da “padrino” per qualcuno che è in ricerca, non gli dice infatti «spiegagli dei dogmi» bensì «portalo in chiesa», cioè fagli vivere con te un’esperienza di incontro con la bellezza di un ambiente e con la bellezza delle opere d’arte presenti in esso.
Così noi ci troviamo a essere eredi un patrimonio di arte cristiana che non siamo chiamati solo a custodire e restaurare, ma a valorizzare in pastorale quale risorsa straordinaria di annuncio e di iniziazione alla fede. Si tratta infatti non di una questione di eredità, quanto piuttosto di identità! Questa arte lungo i secoli si è fatta eco di una Parola prima, fondatrice e liberatrice, quella del Verbo fatto carne, Gesù Cristo, immagine del Padre, una Parola trasmessa dalle scritture, celebrata e vissuta nella liturgia, condivisa nei sacramenti e fatta oggetto di riflessione nella teologia.
Di conseguenza è importante imparare a fruire dell’arte per quanto concerne l’iniziazione, prima di tutto perché essa ha a che fare con la dimensione antropologica: l’arte permette di accogliere il sensibile. Generando un messaggio che si rivolge prima di tutto ai nostri sensi, ci permette di ritrovare un linguaggio che si rivolge all’umano nella sua totalità e a tutti gli esseri umani. Inoltre l’arte esprime una dimensione culturale del cristianesimo che lo rende degno di attenzione anche a chi resta marginale ai normali circuiti pastorali delle nostre comunità.
Per questo, nei confronti delle creazioni artistiche, bisogna attivare un triplice sguardo, che per esigenze di sintesi chiameremo etico, estetico ed evangelico; anni di pratica pastorale ci testimoniano che davvero è possibile fruire di un’opera d’arte come specchio della vita (sguardo etico), riconoscendo e rispettando la peculiarità della sua espressione (sguardo estetico) e accorgendoci che può costituire una finestra dalla quale ci raggiungono dei riflessi della Parola di colui che è «la Luce del mondo» (sguardo evangelico).
Per queste ragioni siamo convinti che la bellezza espressa nell’arte ci inviti ad approfondire e sviluppare il necessario legame tra immagine e parola, tra vista e udito, relazione che consente di percepire l’unità di un evento di rivelazione, e di godere del fatto che essa si rivolge all’unità della persona umana, testa, cuore e corpo.
Per annunciare il vangelo in modo che il suo contenuto sia percepito come bello, occorre che dalle formule dottrinali noi risaliamo verso l’evento pasquale che le ha generate, ricuperando il linguaggio tipico del kerigma, cioè il linguaggio missionario che noi abbiamo da secoli dimenticato. Occorre poi che incrociamo il vissuto della gente, il loro bisogno di vita, recuperando così il linguaggio narrativo e autobiografico della fede, perché il vangelo non è vangelo se non è racconto che incrocia i racconti umani.
Occorre anche che facciamo spazio al linguaggio simbolico della fede, proprio in particolare della liturgia, essendo questo il linguaggio più adeguato non solo per dire, ma anche per fare esperienza della fede cristiana. Anche il linguaggio dell’arte, del corpo, della poesia, sono linguaggi simbolici familiari alla fede.
Occorre infine che onoriamo il linguaggio apologetico, inteso nel suo senso positivo, cioè come capacità di dare ragione alle donne e agli uomini della speranza che è in noi, cioè di presentare un cristianesimo plausibile, possibile e desiderabile.
Antonio Scattolini