Legge anti-moschee: la vittoria del Veneto sul governo
Zaia e la maggioranza brindano alla decisione della Corte Costituzionale che ha respinto, dichiarandolo infondato, il ricorso contro la legge recante “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”. Al cui centro, in realtà, vi sono le norme per cui era stata definita a suo tempo "legge anti moschee". Non è discriminatoria, dicono i giudici. Ma è davvero ragionevole?
“E’ un’indiscutibile vittoria. Ancora una volta la correttezza dei principi con cui il Veneto opera e legifera è stata riconosciuta dalla Consulta.
Ora mi auguro che questa nuova sentenza induca il Governo ad una minore conflittualità verso il Veneto, che non è il nemico, ma una Regione che conosce la legge e la rispetta”.
Zaia brinda così alla decisione della Corte Costituzionale che ha respinto, dichiarandolo infondato, il ricorso contro la legge recante “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”. Al cui centro, in realtà, vi sono le norme per cui era stata definita a suo tempo "legge anti moschee".
La legge è uscita praticamente indenne dal vaglio dei giudici, a parte la bocciatura di quanto stabilito riguardo l’impegno ad utilizzare la lingua italiana per tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi, che non siano strettamente connesse alle pratiche rituali di culto.
Una decisione definita "sorprendente" da Zaia, che ricorda come il ministro dell’Interno Minniti abbia da poco "sottoscritto un accordo con la comunità islamica moderata italiana che prevede proprio l’uso della nostra lingua nelle moschee”.
Il ricorso del governo puntava a mettere in luce il possibile carattere discrezionale - e dunque discriminatorio - delle scelte dei sindaci in materia di autorizzazioni, ma la Corte Costituzionale non ha ritenuto di intervenire dal momento che la legge prende in considerazione tutte le diverse possibili forme di confessione religiosa, senza introdurre alcuna distinzione in ragione della stipula o meno di un’intesa con lo stato.
Anzi, i giudici definiscono “conforme al dettato costituzionale la possibilità che le autorità competenti operino ragionevoli differenziazioni” e sottolineano che “si dovranno valutare tutti i pertinenti interessi pubblici e si dovrà dare adeguato rilievo all’entità della presenza sul territorio dell’una o dell’altra confessione, alla rispettiva consistenza e incidenza sociale e alle esigenze di culto riscontrate nella popolazione”.
Come cambiano le norme
Da oggi in poi, dunque, chiunque voglia aprire un nuovo luogo di culto deve stipulare con il sindaco una convenzione che prevede tra l’altro un «impegno fideiussorio adeguato a copertura degli impegni presi».
Le nuove «attrezzature religiose» dovranno avere strade di accesso adeguate, opere di urbanizzazione primaria, ampie superfici dedicate a parcheggio, oltre naturalmente a tutti gli standard sanitari minimi.
Non solo: i luoghi di culto e gli annessi potranno sorgere esclusivamente nelle cosiddette zone F dei vecchi piani regolatori, cioè le aree funzionali che i comuni inseriscono a discrezione nei piani urbanistici e che oggi contengono tipicamente ospedali, chiese, impianti sportivi o altro. Per realizzarle dunque sarà determinante la volontà dei sindaci.
Ma che cosa si intende con attrezzature religiose?
È presto detto: qualsiasi tipo di struttura che abbia a che fare con una fede religiosa. Il nuovo articolo 31 bis della legge urbanistica regionale non esclude infatti nulla. Ma proprio nulla.
Anzitutto ci sono le chiese, ma anche i sagrati, e poi le abitazioni per i ministri del culto ma anche del personale di servizio (quindi le case delle perpetue e dei sacrestani, se si guarda alla chiesa cattolica). Sono soggetti alla normativa anche gli edifici destinati alla formazione religiosa o ad attività «educative, culturali, sociali, ricreative e di ristoro», compresi oratori e simili senza fini di lucro.
E ancora tutti gli edifici sede «di associazioni, società o comunità di persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione».
Ma il passaggio che più ha fatto e sicuramente farà ancora discutere è quello che sottopone alla convenzione anche le aree scoperte «utilizzate per il culto, ancorché saltuario».
Se l'obiettivo era quello di impedire per questa via la preghiera del venerdì ai fedeli di religione musulmana o il proliferare di luoghi di culto improvvisati, non sfuggono a nessuno le conseguenze che un'applicazione ferrea della legge potrebbe avere e che all'epoca erano state al centro degli emendamenti e del voto contrario dell'opposizione.
Si pensi alla parrocchia che decide di realizzare un campo da gioco in un terreno di proprietà attiguo alla chiesa: il sindaco potrà vietarlo perché le aree in cui sorgono le nostre parrocchie non sono di tipo F.
Stesso discorso vale per una comunità che volesse costruire in centro paese una nuova scuola per l’infanzia.
Ma si arriva ai casi assurdi per cui, siccome la legge norma anche gli spazi all’aperto usati saltuariamente per il culto, un gruppo scout dovrà sottostare alla legge urbanistica per le proprie attività.
Per non parlare dei gruppi che si ritrovano a pregare nelle case private: la legge infatti vale anche per tutte le strutture in cui una «comunità di persone in qualsiasi forma costituite» si dedichino «all’esercizio di culto o alla professione religiosa».
Tutto costituzionale - ha deciso la suprema corte - ma non per questo meno preoccupante. E per certi aspetti francamente paradossale.