«La mia vita in frantumi. Ma il Signore mi ha salvato»
Accusato di pedofilia, condannato in primo e secondo grado, padre Secondo Bongiovanni è stato definitivamente assolto lo scorso settembre per non avere commesso il fatto, dopo che la Corte di Cassazione aveva annullato le precedenti sentenze con dure parole di critica ai giudici. Per il gesuita, a lungo direttore dell'istituto filosofico Aloisianum di Padova, può ora iniziare una seconda vita. Da qualche settimana è a Napoli, per insegnare filosofia alla facoltà teologica dei gesuiti. La prima vita, quella che ricorda con nostalgia, si è bruscamente fermata quel 2 agosto del 2008, mentre era in vacanza a Sondrio, appena uscito da una nuotata in piscina.
E questa è la storia, paradossale ma vera, di un uomo e di un prete che per otto anni ha cercato un perché alla tragedia che lo ha colpito.
Se vivessimo in un mondo giusto e onesto, chi cercasse su internet informazioni su padre Secondo Bongiovanni dovrebbe trovare notizie di un intellettuale di buon profilo: studi in teologia e dottorato in filosofia, direttore dell’istituto filosofico Aloisianum dei gesuiti, abituato a tenere corsi e seminari in diverse istituzioni. Oppure dovrebbe imbattersi nella recensione di uno dei suoi tanti libri, buon ultimo Il principio compassione edito a Padova lo scorso marzo.
Siccome purtroppo in un mondo giusto e onesto non viviamo – e internet spesso finisce per amplificarne con la sua potenza limiti e difetti – a digitare il suo nome Google restituisce per prima cosa il profilo inquietante di un prete pedofilo, condannato dal tribunale di Sondrio per atti osceni e corruzione di minore. Peccato che sia tutto falso. O meglio, peccato che le fonti reperibili su internet si fermino a metà della storia. E, come sappiamo, spesso le mezze verità finiscono per essere le peggiori bugie.
Perché da quelle accuse – in cui i giudici hanno ritenuto di individuare prove sufficienti per condannarlo sia in primo sia in secondo grado – padre Secondo è uscito innocente.
Lo scorso 13 gennaio la Corte di cassazione ha annullato le sentenze con parole molto chiare
“La Corte territoriale è pervenuta all’identificazione dell’autore dei fatti attraverso un percorso motivazionale che si rivela in larga misura insufficiente e, in parte, contraddittorio”. Peggio ancora, “il Giudice di primo grado è pervenuto ad affermare la responsabilità penale con un percorso logico argomentativo ancor più carente sull’identificazione del Bongiovanni”.
Non era lui, insomma, il colpevole. E a scrivere la parola fine su questa paradossale vicenda è stata, dopo la Cassazione, una nuova Corte d’appello, che lo scorso 19 settembre lo ha assolto per non avere commesso il fatto.
Ci sono voluti 8 anni, cosa non inusuale nel nostro paese, ma almeno giustizia è fatta. Agli occhi della legge, certo, ma a quelli dell’opinione pubblica? Dei giornali, anche padovani, che all’epoca se ne occuparono con un fiorire di articoli e titoloni? E che dire di internet, dove nulla si cancella e nessuno però si occupa di raccontare come vanno a finire certi processi?
Per quanto possibile, proviamo allora noi a riparare al torto subito.
Incontro padre Secondo all’Antonianum di Prato della Valle, dove i gesuiti sono stati per decenni un solido punto di riferimento per migliaia di giovani padovani.
Ci sediamo in cucina per un caffè. È alla vigilia della partenza, diretto a Napoli dove proprio in queste settimane è iniziata la sua seconda vita. Di prete, di studioso, di insegnante di filosofia alla facoltà teologica. La prima vita, quella che ricorda con nostalgia, si è bruscamente fermata quel 2 agosto del 2008, mentre era in vacanza a Sondrio, appena uscito da una nuotata in piscina.
«Vengo circondato da una decina di persone, che inscenano sul posto un processo in piena regola accusandomi di aver molestato un ragazzo. Lui, per la verità, all’inizio nemmeno mi riconosce, dice che l’uomo che lo ha avvicinato si chiama Mario. Allora, di mia spontanea iniziativa vado a prendere un documento d’identità... ingenuamente, senza nemmeno capire cosa sarebbe potuto succedere. Senza venirne informato viene fotocopiato il documento, minacciano di chiamare i carabinieri... e io resto traumatizzato, come paralizzato e senza riuscire a parlare. In quel momento mi è caduto il mondo addosso. Eppure, nelle settimane successive, pensavo che la cosa fosse finita lì».
Invece?
«Il 14 novembre ricevo un avviso di garanzia e inizia il mio calvario. Vado dal mio provinciale a Roma, padre Casalone, parlo col superiore di Padova, padre Bizzeti, entrambi mi sono sempre stati vicini così come l’intera famiglia gesuita. Mi tranquillizzano, decidiamo di tenere un profilo basso sperando ancora che le indagini appurino la mia totale estraneità ai fatti. E invece nel settembre del 2010 vengo condannato in primo grado».
Prete pedofilo...
«Non si può capire cosa significhi finché non ci passi. È uno stigma, una sorta di lebbra contemporanea che ti si attacca addosso e contro la quale sei impotente. L’anno prima avevo terminato il mio servizio come direttore dell’Istituto continuando però a insegnare... basta, da quel momento finisce tutto. Niente più conferenze, basta lezioni in Francia o in altre istituzioni ecclesiastiche, tante iniziative sono stato io stesso a disdirle sapendo che la mia presenza sarebbe stata motivo di scandalo. Mi sono limitato allo studio, alla scrittura, alla direzione e agli esercizi spirituali: se non fosse stato per la cura del Provinciale che mi ha assegnato incarichi interni che potevo svolgere senza problemi la mia vita si sarebbe completamente bloccata».
Hai mai incontrato il ragazzo che ti ha accusato di molestie?
«No. L’ho ritenuto inappropriato temendo di rischiare di peggiorare la situazione. Ma non è solo questo: sinceramente, non so se avrei avuto la forza. Quel che posso fare è portarlo ogni giorno nella preghiera, ricordare il suo nome davanti a Dio. Perché ancora oggi non riesco a pensare che si sia inventato tutto, senza una ragione. Qualcosa dev’essere successo, ma chi ne porta la colpa non lo sapremo mai».
Novembre 2008, il primo avviso di garanzia. Poi due condanne. Infine, otto anni dopo, la piena assoluzione. Cosa pensi oggi della giustizia italiana?
« Anzitutto ringrazio di cuore l’avvocato Zanchetti di Milano che mi ha assistito con grande perizia e umanità nel percorso giudiziario. Entrando più nel merito della domanda, premetto che non ho mai criticato un magistrato o la magistratura nel suo complesso, e ritengo che sia grave mancare di rispetto a una istituzione che rappresenta un cardine della vita democratica. E tuttavia mi pongo alcune domande, come cittadino prima ancora che come parte in causa. È possibile aspettare otto anni per arrivare in fondo a una vicenda così delicata? Si è consapevoli di cosa può significare per la vita di una persona? E poi, come è possibile accusare un uomo di pedofilia senza tener conto della sua vita, delle sue abitudini, delle sue relazioni? Un legame tra quell’atto sotto inchiesta e la sua intera esistenza ci dovrà pur essere... Nessuno ha mai pensato di sequestrare il mio telefono, il computer, di frugare nella mia stanza: ma davvero non si doveva cercare qualche appiglio, qualche ulteriore elemento prima di gettarmi addosso un’accusa così infamante?».
Conserverai una bella collezione di articoli sul tuo caso...
«No, ma ricordo bene i titoli a tutta pagina sul gesuita pedofilo. Quando sono stato assolto, invece, nemmeno una riga. Si parla tanto di etica dell’informazione, ma poi la stampa ti considera alla stregua di un oggetto. L’importante è che tu faccia notizia, che faccia vendere. Il resto, a chi importa? Non ci si prende la briga nemmeno di correggere le informazioni sbagliate».
Ora torni a insegnare. Ma cosa ti rimane dentro di questi anni?
«Non cammino più come prima. Mi sento zoppo, come Giacobbe. Chi mi conosce bene, mi ha sempre fatto l’onore di un giudizio onesto, di un’amicizia fedele, tanto più preziosa nel momento in cui non potevo pretendere nulla: non un invito, non un incoraggiamento, nemmeno uno sguardo. Ma mi metto nei panni di chi non sa chi sia padre Secondo, di chi mi ha conosciuto attraverso i giornali e internet: onestamente, di fronte alla tristezza della pedofilia, capisco che per alcuni possa rimanere un dubbio. Anche una volta assolto».
Le accuse di pedofilia sono un macigno sulla credibilità della chiesa.
«E noi abbiamo qualche responsabilità. Ci sono stati casi in cui abbiamo coperto situazioni che andavano affrontate, spostando da un luogo all’altro i preti e i religiosi invece di favorire il corso della giustizia. Poi i nodi vengono al pettine, il clima si infiamma, inizia la caccia alle streghe e a chi tocca tocca».
Ti senti un martire?
«No affatto: la bibbia ci ricorda che “nessuno è giusto”, e certamente non lo sono io. Ma tutti gli uomini hanno diritto all’onorabilità. Si dice che siamo innocenti fino all’ultimo grado di giudizio. Ma è davvero così?».
La tua fede non ha mai vacillato?
«Ho avuto turbamenti e angosce, ma non ho mai gridato contro Dio. Come dice Giobbe, “Il Signore dà, il Signore toglie. Sia benedetto il nome del Signore”. Grazie a papà Matteo ho sempre avuto un forte senso della Provvidenza: sono certo, inoltre, che l’incontro con Dio avviene in modi imprevisti e sconosciuti. Basta ricordarsi che da Lui si può solo ricevere, senza pretendere nulla».
Avrai detto “Signore, aiutami. Sono innocente...”
«Nel mio intimo ero sicuro che il Signore mi avrebbe soccorso. Invece così non è stato, o meglio così non è stato all’apparenza. Poi, pian piano, ho capito come il Signore agisce nella storia».
In che modo?
«Penso all’episodio del Getsemani, a Gesù che chiede di essere liberato. La Lettera agli Ebrei non afferma forse che fu esaudito per la sua pietà? In che senso fu esaudito, se è morto in croce, come un delinquente? Il Signore lo sostiene nell’attraversare la storia così com’è e come doveva essere, non lo libera magicamente dalla storia. Ecco, ho capito che questo valeva anche per me, che dovevo stare ben saldo nella storia, nella mia storia, sapendo che il Signore era lì accanto a me. Lui si stava occupando di me. Ho ripreso con maggior profondità il mio rapporto con lui, senza trascuratezze, e ho ricevuto una consapevolezza più profonda della Sua presenza nella mia vita. Benché io ne sia indegno, forse anche per me “era necessario” che questo accadesse…».
Fatalismo?
«No, affidamento: io so in chi ho posto la mia fiducia. Il fatalismo è passivo, l’affidamento è una presa di posizione attiva nei confronti della realtà. Prima ero stimato e rispettato: poi, all’improvviso mi è stato tolto tutto. Sono diventato una presenza scomoda, ho sperimentato sulla mia pelle cosa significhi sentirsi esclusi, messi al bando, rifiutati. Poteva diventare un’esperienza tragica di confusione, di smarrimento. Per la grazia di Dio è stata un’esperienza spirituale profonda, che cercherò di porre a servizio di altri. Questa è la vita che ho liberamente scelto nel Nome del Signore e a cui desidero restare fedele».