"Dialoghi con l'Ucid": il 25 marzo si parla di populismi politici
Sabato 25 marzo al centro Antonianum all'incontro promosso da Ucid Padova intervengono la sociologa Monica Simeoni e l’economista Gianluca Toschi sulla recente diffusione dei populismi, spesso alimentati dal web.
Nemmeno il tempo di riprendersi dallo shock per l’elezione di Donald Trump, e già in Europa si era affacciato un altro interrogativo, da molti considerato inquietante: davvero Marine Le Pen potrebbe essere la prossima presidente francese?
I populismi non sono certo fenomeno nuovo, ma in questi ultimi mesi sembrano conoscere una diffusione senza precedenti, almeno nella storia recente. Un tema su cui Ucid Padova – Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti – ha deciso di interrogarsi proponendo un momento di confronto in programma, per il ciclo "Dialoghi con l’Ucid", sabato 25 marzo alle ore 10 presso l’Auditorium del centro giovanile Antonianum in Prato della Valle, 56. Intervengono Monica Simeoni, docente di sociologia all’Università del Sannio e Gianluca Toschi, docente di economia dell’integrazione Europea all’Università di Padova.
Se la sociologa cercherà di offrire alcune chiavi di lettura per interpretare il fenomeno, all’economista spetterà il compito di proporre un’analisi dei possibili scenari aperti dalle scelte protezionistiche che spesso sono fra gli elementi distintivi della proposta dei populisti. «La situazione attuale – spiega Massimo D’Onofrio, membro del consiglio direttivo di Ucid Padova – apre tanti interrogativi. Alla crescita dei populismi corrisponde l’incapacità della politica di far fronte alla velocità dei cambiamenti planetari in corso, spesso i partiti tradizionali, nel folle tentativo di non perdere consenso, si trovano a inseguire i populisti nel loro terreno. Dove ci sta portando questa società occidentale scollata, a due velocità? L’approccio America first innescherà un effetto domino? E la globalizzazione, che è stata lo scenario dominante negli ultimi vent’anni: ci sarà una battuta d’arresto, faremo un passo indietro?».
Queste alcune delle domande al centro dell’incontro. Ma prima di porsi di fronte a questi interrogativi è necessario fare chiarezza sul termine populismo, spesso usato a sproposito o per indicare movimenti molto diversi tra loro.
«Se c’è un tratto comune fra i diversi populismi – spiega Simeoni – è quello della semplificazione: di fronte a un mondo sempre più complesso da interpretare, i populismi negli Stati Uniti come in Europa propongono una visione semplificata, direi quasi manichea, dove le questioni vengono affrontate in termini di bianco e nero e spesso manca un vero programma. Una visione che ben si presta alla comunicazione frammentaria, fatta di “spot” e di slogan, senza alcun approfondimento, tipica dei social. L’altro elemento comune è il sovranismo: la dicotomia destra-sinistra è stata sostituita da quella dentro-fuori. Nella visione semplificata proposta dai populisti tutto ciò che è politica tradizionale è da respingere, rovesciare, senza distinzione».
Se tutti i “vecchi” sono considerati da cancellare, «non ci si pone il problema della competenza di chi si propone come nuovo e verrà chiamato a governare e questo rappresenta un rischio».
Quale antidoto a questa situazione? «Magari ci fossero le risposte. Si tratta di un fenomeno in cui siamo immersi, tipico di questo tempo, e con cui dobbiamo rassegnarci in qualche modo a fare i conti. In questo momento forse l’antidoto più forte è rappresentato dal sistema democratico che ogni Stato si è dato. Negli Usa, pur in presenza del presidenzialismo, esiste un sistema di check and balance, di pesi e contrappesi, che fa sì che Trump non possa fare tutto quello che vuole: abbiamo visto ad esempio le difficoltà che ha incontrato nell’applicazione dei decreti anti-immigrazione. In Olanda il populista Geert Wilders non ha chance di andare al governo perché c’è un sistema proporzionale puro e tutti gli altri partiti si sono detti indisponibili a un’alleanza con lui. La situazione francese mi spaventa di più, anche perché il presidente della repubblica elegge anche il primo ministro. Se molti non dovessero andare a votare al secondo turno, anche un partito con il 20 per cento potrebbe governare senza forti contrappesi».