Ma lo smartphone ci spia? La sensazione di essere "ascoltati" dai nostri dispositivi è sempre più diffusa

Più che un vero ascolto diretto, quello che accade è che siamo monitorati in modo costante nel nostro comportamento digitale

Ma lo smartphone ci spia? La sensazione di essere "ascoltati" dai nostri dispositivi è sempre più diffusa

Siamo mai stati sorpresi da una pubblicità online che sembra rispondere esattamente a una nostra conversazione recente al cellulare? Forse abbiamo appena parlato con un amico del concerto di un cantante o di un viaggio in Brasile, e pochi istanti dopo, navigando su un sito o sui social, ecco comparire una pubblicità per il concerto o per voli scontati verso Rio de Janeiro. Questa sensazione di essere “ascoltati” dai nostri dispositivi è sempre più diffusa e genera discussioni accese sulla privacy. Ma quanto c’è di vero in questa percezione?

Il timore che i nostri smartphone possano ascoltare le nostre conversazioni non è del tutto infondato. Esistono tecnologie avanzate che potrebbero teoricamente captare e analizzare i dati vocali degli utenti, se combinate con pratiche di marketing sempre più aggressive. Un caso particolarmente significativo in questo contesto è stato quello della Cox Media Group (CMG), una società americana che ha attirato l’attenzione mediatica per aver proposto una soluzione pubblicitaria che prometteva di raccogliere dati vocali in tempo reale per offrire annunci personalizzati. Tra i suoi clienti figuravano giganti dell’informatica come Google, Amazon e Facebook.

CMG proponeva ai suoi partner di utilizzare l’ascolto attivo per identificare i bisogni degli utenti e inviare pubblicità mirate. La promessa era quella di non lasciare “nessun mormorio pre-acquisto inascoltato”, come si leggeva in alcuni documenti aziendali trapelati. Le critiche non tardarono ad arrivare, sollevando preoccupazioni su una possibile violazione della privacy. Di fronte a questa reazione, CMG fece marcia indietro, sostenendo che i dati vocali non venivano effettivamente raccolti in tempo reale, ma che piuttosto l’azienda si basava su dati aggregati e anonimizzati forniti da terze parti.

Tuttavia, nonostante queste precisazioni, Google decise di rimuovere CMG dalla lista dei propri partner commerciali. Amazon e Facebook, da parte loro, affermarono di non aver mai preso parte a questo programma, ribadendo che le loro piattaforme rispettano rigorosi criteri di privacy.

Ma perché molti di noi continuano a sentirsi spiati dai propri dispositivi? Una parte della risposta risiede in un fenomeno psicologico noto come “illusione di frequenza”, o effetto Baader-Meinhof. Questo effetto si verifica quando, dopo aver sentito parlare di qualcosa, iniziamo a notarlo ovunque. Ad esempio, se discutiamo di un cantante, diventeremo automaticamente più attenti alle informazioni che lo riguardano, comprese le pubblicità online. In realtà, non è che il nostro telefono ci stia “ascoltando”, ma il nostro cervello è più predisposto a notare le coincidenze.

A questo fenomeno si aggiunge il potere degli algoritmi. I sistemi che analizzano i nostri comportamenti online sono estremamente avanzati e possono prevedere i nostri interessi con una precisione sorprendente. Questi algoritmi non hanno bisogno di ascoltare le nostre conversazioni per sapere cosa ci interessa: analizzano le nostre ricerche, le interazioni sui social media e persino le nostre abitudini di acquisto. Le pubblicità che vediamo non sono frutto di un “ascolto” in senso stretto, ma di un monitoraggio costante delle nostre attività online, al quale, spesso inconsapevolmente, acconsentiamo accettando le condizioni d’uso di app e siti web.

Quindi, più che un vero ascolto diretto, quello che accade è che siamo monitorati in modo costante nel nostro comportamento digitale. Ogni volta che utilizziamo un motore di ricerca, clicchiamo su un link o mettiamo “mi piace” a un post sui social, lasciamo delle tracce che vengono utilizzate per costruire un profilo delle nostre preferenze e abitudini. Queste informazioni sono poi utilizzate dalle aziende per personalizzare la pubblicità, spesso in modo così preciso da farci credere che il nostro smartphone stia effettivamente ascoltando le nostre conversazioni.

In altre parole, quello che viviamo è il risultato di un complesso sistema di analisi dei dati che combina le nostre attività online con le dinamiche psicologiche che regolano la nostra attenzione. Questo sistema, sostenuto da tecnologie di intelligenza artificiale e machine learning, è capace di predire i nostri interessi senza bisogno di spiare direttamente le nostre conversazioni.

Dunque, sebbene esistano tecnologie avanzate in grado di captare e analizzare dati vocali, la vera minaccia alla nostra privacy risiede, almeno per ora, nel modo in cui utilizziamo la rete e nel tipo di dati che permettiamo alle aziende di raccogliere.

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Fonte: Sir