Ucraina. Bozzo (Università di Firenze): “Putin non tornerà indietro”
Luciano Bozzo, professore di relazioni internazionali e studi strategici presso l'Università di Firenze, spiega le mosse compiute e i delicati equilibri che hanno portato al secondo tavolo di negoziato, con il risultato di una tregua per consentire dei corridoi umanitari. Dieci giorni prima dell’attacco all’Ucraina, il docente era fra i pochi a mettere nero su bianco prevedendo la mossa di Putin
La partita a scacchi è iniziata e la posta in palio è altissima. Il conflitto fra la Federazione russa e l’Ucraina è inarrestabile e rischia di bruciare i confini. Luciano Bozzo, professore di relazioni internazionali e studi strategici presso l’Università di Firenze, spiega le mosse compiute e i delicati equilibri che hanno portato al secondo tavolo di negoziato, con il risultato di una tregua per consentire dei corridoi umanitari. Dieci giorni prima dell’attacco all’Ucraina, il docente era fra i pochi a mettere nero su bianco prevedendo la mossa di Putin. Ora avverte: “In questa guerra i russi stanno versando più sangue di quanto fosse stato calcolato, ciò rende più difficile per Putin tornare indietro”.
Professore, il secondo round di negoziati ha prodotto una tregua per consentire dei corridoi umanitari per evacuare i civili. Era una mossa attesa?
Il fatto che si sia giunto a un accordo potrebbe essere un elemento incoraggiante e fa pensare che i russi siano in difficoltà operativa perché si sono ritrovati davanti a una situazione inattesa.
Mettere in atto dei corridoi che consentano l’evacuazione è un obiettivo ovvio per tutti coloro che intendono evitare le conseguenze più drammatiche.
È evidente secondo lei l’uso dei civili nel negoziato?
Negli ultimi decenni i civili hanno fatto parte dei conflitti, sia come vittime degli attacchi sia perché possono essere usati come arma di ricatto nella cosiddetta ‘diplomazia della violenza’ per ottenere vantaggi negoziali. Gli assediati, in un’ottica strategica, potrebbero avere l’interesse a mantenere la popolazione civile nell’abitato perché se l’avversario usa la forza per entrare, inevitabilmente provocherebbe un elevato numero di vittime civili e a catena una risonanza mediatica. D’altra parte, chi assedia può avere interesse a sgomberare i civili per avere mano libera ma potrebbe avere anche interesse a colpire la popolazione per fare pressione sulle autorità politiche avversarie.
Putin ha affermato che i militari russi forniscono “corridoi sicuri per i civili” ma che “i neonazisti ucraini” lo impediscono e stanno trattando i civili come “scudi umani”.
L’affermazione può sembrare cinica ma coglie un aspetto del problema. L’attaccante può vedere nell’uso dei civili anche un ostacolo alla sua iniziativa militare. I civili, come stiamo vedendo, possono essere armati per contribuire ad arrestare l’aggressore. Questo però dal punto di vista del diritto internazionale crea un problema perché se il militare russo usa in maniera indiscriminata la forza contro la popolazione inerme viene incriminato per crimini di guerra ma se i civili attaccano i militari allora i russi sarebbero legittimati a difendersi. Si capisce quindi come anche i civili entrino nel ‘gioco negoziale’ in cui le parti si confrontano per ottenere il massimo possibile.
L’invasione ha di fatto oscurato il cattivo comportamento ucraino verso le popolazioni del Donbass a maggioranza russofona più volte denunciato dallo stesso Putin?
Nel Donbass sono state compiute delle atrocità, questo è sicuro. Ma che questo argomento venga portato a giustificazione dell’attacco russo è inaccettabile. Non vanno minimizzate le atrocità, ma una cosa sono gli atti compiuti da gruppi paramilitari altra cosa è una guerra su vasta scala per l’occupazione di un Paese sovrano. Inoltre dire che
l’Ucraina è neonazista e giustificare l’aggressione per questo non suona con il fatto che il presidente Zelensky sia ebreo.
Il pericolo ora è che la guerra in Ucraina possa durare decenni come in Siria?
Sì, il rischio esiste ma si somma ad altri rischi.
Come l’allarme di guerra nucleare?
L’allarme è una mossa negoziale. Da una parte Putin ha accettato il tavolo negoziale, dall’altra ha parlato di allerta nucleare. È un po’ come mettere sul tavolo una pistola carica. La pistola serve a far capire alla controparte che si è disposti a innescare una guerra nucleare. Poi c’è un tema più tecnico. Finita la guerra fredda, del pericolo non si è più parlato nonostante i sistemi d’arma nucleari esistano ancora. Le testate nucleari sono diventate molto più precise ma la potenza è stata ridotta.
Allo stesso tempo, le armi convenzionali hanno aumentato di potenza. Questo significa che, se ci fosse una escalation, si potrebbe passare da una testata convenzionale a una nucleare perché in potenza si equivalgono. Ma una volta che si comincia a usare le testate nucleari si è comunque superato il confine. Un altro rischio è il fatto che l’area di conflitto è circondata da Paesi della Nato. È chiaro che nei punti di contatto o nello spazio aereo si possano verificare degli incidenti non voluti che potrebbero innescare reazioni della controparte.
Uno scenario plausibile vuole Putin che non riesce a raggiungere gli obiettivi in Ucraina. A questo punto perderebbe terreno, sia a casa sia all’estero.
Il dissenso interno mi preoccupa poco, non credo sarà forte. Ma se aumentano le perdite, se gli ucraini resistono, se le forniture da Paesi esterni continuano ad arrivare, allora Putin potrebbe decidere di abbandonare le aree del confronto. A quel punto però perderebbe la faccia, cosa improbabile. Ha fatto capire chiaramente che vuole il Donbass, un collegamento con la Crimea e un impegno scritto da parte della Ucraina a non aderire alla Nato. Si tratta di vedere cosa Putin vuole cedere e quanto può cedere. In questa guerra i russi stanno versando più sangue di quanto fosse stato calcolato, ciò rende più difficile per Putin tornare indietro.
In queste ore si è parlato anche di un golpe interno che rovesci lo “Zar” Putin. Quanto è verosimile?
Credo poco a questo scenario. Eliminare gli autocrati è difficilissimo, lo dice la storia. E poi, supponiamo che succeda, siamo sicuri che chi prenderebbe il posto di Putin sia meglio?
L’astensione della Cina all’Assemblea generale dell’Onu riguardo alla risoluzione di condanna dell’aggressione in Ucraina significa che l’asse Pechino-Mosca non è così saldo?
La Cina si trova in una situazione complicata. Da una parte ha voluto fortemente la partnership con la Russia: sono entrambi in linea nel contestare l’ordine internazionale e hanno un rapporto di scambio proficuo. I cinesi infatti hanno bisogno delle materie prime, dei combustibili fossili e delle tecnologie militari di punta dei russi.
Dal canto loro, i russi hanno bisogni degli investimenti e dei beni di consumo prodotti in Cina. Sulla carta i due Paesi sarebbero due perfetti nemici perché hanno un confine contestato e sul piano economico e demografico per la Russia non c’è partita. La Cina però difende il principio della inviolabilità dei confini nazionali e quindi l’attacco russo all’Ucraina la pone in imbarazzo.
Non vuole essere coinvolta in una guerra di cui non ha interesse ma d’altra parte è interessata a vedere uno spostamento dell’attenzione su un fronte occidentale.
Gli Stati Uniti si sono dimostrati deboli o stanno semplicemente a guardare?
Biden ha assunto una attitudine cauta e prudente che considero positiva. Se Putin è entrato adesso in Ucraina probabilmente è perché gli Stati Uniti hanno perso credibilità dopo l’uscita dall’Afghanistan. Putin è un attento stratega e ha osservato anche questo. Così come ha pensato che in Europa fossimo occupati da altro: in Germania c’è un nuovo leader, in Francia le elezioni presidenziali.
In Italia si è parlato della ipotesi che Papa Francesco possa fare da mediatore fra Russia e Ucraina.
Lo ritengo altamente improbabile. Il Papa non è mai stato invitato a Mosca e anche l’unico incontro con il patriarca ortodosso è avvenuto a Cuba.
Maria Elisabetta Gramolini