Transizione digitale. La miopia della produzione interamente dislocata all'estero
La “fabbrica” mondiale dei microchip – l’isola di Taiwan davanti alla Cina – per una serie di motivi non riesce più a far fronte alla richiesta degli stessi. E il mondo si ferma.
La parola-chiave di questo periodo è: transizione. Quella energetica è molto “pop” e sta su tutte le pagine dei giornali, l’obiettivo è nientemeno quello di salvare il pianeta. Ma esiste in contemporanea la transizione digitale, cioè la rapida evoluzione di un’economia globale causata dal trionfo del microchip, questo granello di tecnologia che da una trentina di anni sta ribaltando le nostre vite.
Si pensi all’esempio del “telefonino” e dei terremoti che ha provocato. La sua presenza ha eliminato il telefono fisso di casa, poi le macchine fotografiche (con rullini e fotografi annessi), i walkman musicali, i navigatori e gli stereo per automobili, messo in crisi i personal computer e i tablet, le radio, ora le televisioni e i cinema e chissà domani che cosa altro. E si consideri cosa ha innescato in tutto il globo la rivoluzione-internet, dai social alle vendite on line, da Facebook e Google ad Amazon.
Succede poi che la “fabbrica” mondiale dei microchip – l’isola di Taiwan davanti alla Cina – per una serie di motivi non riesca più a far fronte alla richiesta degli stessi. E il mondo scopre in poche settimane di essere completamente dipendente da questi piccoli strumenti tecnologici che non sa produrre ma solo acquistare. E così si fermano le fabbriche di automobili e autoveicoli vari, perché mancano i componenti per completarle (ci sono auto che hanno una trentina di microchip installati); quindi l’industria aeronautica, la componentistica, i macchinari industriali (che stupidamente chiamiamo “robot” anche quando sono delle catene di invasamento della salsa di pomodoro), i televisori, i computer… fino agli smartphone che ognuno di noi possiede. E senza il digitale, qualsiasi transizione energetica si ferma solo allo stadio di bella idea.
La rivoluzione digitale prevedeva il continuo calo dei prezzi come strumento della sua diffusione planetaria. Idee negli Usa, produzione in Estremo Oriente, vendita in Occidente; il tutto in tempo reale, tenuto insieme dal collante comune degli interessi. Stiamo scoprendo che quelli economici possono essere sovrastati da altri, come la voglia della Cina di riconquistare Taiwan. E scopriamo di essere senza più fabbriche, con quelle ad alta tecnologia che si possono impiantare e sviluppare sì, ma con anni di tempo e conoscenze che non abbiamo. Il personal computer l’ha inventato l’Olivetti a Ivrea; ora da anni non c’è più in Italia nemmeno una fabbrica che costruisca banali televisori.
Ecco, come per la transizione energetica, anche qui la parola d’ordine è la stessa: correre ai ripari, prima possibile.