Studiare e approfondire. Ė in classe che si può parlare di guerra e di pace
La scuola non può fare a meno di caricarsi della responsabilità di affrontare con i suoi strumenti l’emergenza dettata da questo tempo.
Può la scuola far finta di niente? La domanda è obbligata in questo tempo di tragedia europea nel quale una guerra si è affacciata improvvisamente e con tutta la sua violenza in quella che anche inconsciamente abbiamo da tanto tempo considerato una “comfort zone”: l’Europa.
Intendiamoci, la guerra è una presenza costante nell’orizzonte del mondo. Il fatto è che per noi italiani, europei, occidentali, resta un fenomeno lontano, anche se, in verità, non è lontana, ad esempio l’Africa, dove di guerre se ne succedono una all’altra. O il Medio Oriente, dove il sottofondo dei conflitti non si è mai spento.
Il fatto nuovo, inaspettato – anche se i media ne parlano da un po’ – è invece lo scoppio delle bombe, il tuono dei cannoni, il sibilo dei missili in Ucraina, a poche ore di volo da Milano, da Roma… La guerra è scoppiata in quell’Est Europa che ha già conosciuto, nel secolo scorso, tragedie immani.
Non solo: la guerra è scoppiata avendo per protagonista una delle due grandi potenze militari mondiali, la Russia di Putin, che sembra addirittura ventilare la minaccia nucleare.
Ora, la scuola può restare fuori da questo scenario? La scuola italiana, per intenderci. Le aule dove si riuniscono tutti i giorni i nostri figli, che non di rado hanno a che fare con baby sitter ucraine, o conoscono le badanti dei nonni che spesso vengono dall’Est.
No, la scuola non può fare a meno di caricarsi della responsabilità di affrontare con i suoi strumenti l’emergenza dettata da questo tempo. Forse non è ancora uscita dalla gravità e dai malanni della pandemia – anche se lo spiraglio di luce è evidente – e subito si trova di fronte a una nuova emergenza. E’ a scuola che si può parlare di guerra e di pace e soprattutto si possono costruire relazioni che contrastano la guerra e l’odio.
Approfondire i temi di attualità è possibile nelle scuole secondarie, soprattutto. Ma come evitare di creare occasioni di rassicurazione e di aiuto con le bambine e i bambini più piccoli? Non sanno, forse, che i carrarmati sono alle porte di Kiev, o che i bombardamenti fanno vittime civili e militari. Ma non c’è da illudersi sul fatto che possano avvertire l’insicurezza e la tensione di un mondo adulto intorno a loro.
Per questo la scuola non può far finta di niente. Non può ritenersi un’oasi di tranquillità in cui le cose procedono ogni giorno secondo un copione stabilito.
Il ministro Bianchi in questi giorni ha invitato espressamente le scuole – studentesse, studenti, docenti e tutto il personale – a riflettere sull’articolo 11 della nostra Costituzione che indica con chiarezza come “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, oltre a cercare e favorire “la pace e la giustizia fra le Nazioni”.
Ha ragione il ministro quando riconosce che le nostre scuole “da sempre mettono al centro del percorso educativo questi temi e, responsabilmente, educano le nostre ragazze e i nostri ragazzi a una cittadinanza consapevole e al rifiuto della guerra”. Oggi serve qualcosa di più. Un guizzo di responsabilità maggiore, da parte di tutti. Studiare e approfondire sono le “armi” della scuola. Insieme alla costruzione di buone relazioni. Su questo vale la pena di concentrarsi in modo speciale.