Questione di ruoli. Stabilire e riuscire a sostenere i giusti termini del dialogo intergenerazionale non è una questione semplice
Chi ha maggiore lungimiranza e consapevolezza dovrebbe cercare di facilitare il dialogo, disinnescando la contrapposizione e cercando invece la “contaminazione” dei contenuti.
“Ai miei tempi” dovrebbe essere l’incipit di un racconto dedicato ai più giovani e mai un’espressione utilizzata con intento recriminatorio. Quando, infatti, lo scambio generazionale rinuncia ai toni del dialogo per assumere la posa della “lezione di vita”, i giovani interlocutori si sottraggono perché ne avvertono subito l’ostilità e il senso di disapprovazione. Quindi non ascoltano più, rinunciando a ripercorrere con chi è più anziano le origini e il senso della loro stessa identità.
Stabilire e riuscire a sostenere i giusti termini del dialogo intergenerazionale non è una questione semplice da dirimere per vari motivi. Dei conflitti tra generazioni si parla sin dall’antichità: lo fanno autori del calibro di Plauto, Quintiliano, Orazio, talvolta evidenziando anche l’aspetto grottesco di uno scontro arroccato sulla difficoltà di accettare e comprendere il cambiamento. La generazione che rappresenta il passato, oltre alla preziosa esperienza e allo sguardo più pacato e consapevole sul mondo, reca con sé rimpianti, delusioni e sensi di colpa. Dietro le recriminazioni, non di rado, si annidano frustrazioni e amarezze.
Nel percorso di un genitore ci sono molte stagioni. Gli anni legati all’infanzia dei figli sono impregnati di preoccupazioni di ordine pratico, ma ancora densi di progetti e sogni che investono l’intero nucleo famigliare. Poi, con l’adolescenza dei ragazzi, alcuni progetti si rivelano illusori, poiché si ha a che fare con individui che manifestano intenzioni e azioni spesso addirittura divergenti rispetto alle aspettative genitoriali. I sentimenti dei genitori, inoltre, sono spesso condizionati anche da sensi di colpa che investono il proprio personale vissuto, ma che risentono anche del senso di fallimento dell’epoca alla quale appartengono. Siamo tutti, nel momento presente, un po’ amareggiati rispetto al mondo che ci accingiamo a consegnare ai nostri giovani. Lo scenario politico non è affatto rassicurante, per non parlare delle questioni etiche, ambientali e professionali.
“La generazione più giovane è la freccia, la più vecchia è l’arco”, scriveva lo scrittore John Steinbeck. Chiarendo che le contrapposizioni sono fuori luogo, poiché i figli vivono le colpe e le debolezze dei padri. Certamente anche i meriti, ma quelli tendono a essere meno evidenziati quando i toni del confronto assumono un piglio critico e di scarsa apertura.
Le tensioni più marcate si manifestano in maniera particolare quando sui figli non si hanno soltanto aspettative, ma essi divengono il terreno di vere e proprie proiezioni esistenziali da parte dei genitori. Non è possibile riscattare la propria vita tentando di orientare quella di qualcun altro, soprattutto non è sano.
Di fronte a noi, poi, le nuove generazioni appaiono fragili e insipienti. E senz’altro lo sono sotto molteplici aspetti. Ma la loro fragilità deriva anche in grandissima misura dal germe potente del cambiamento che si portano dentro. Quel germe li rende saccenti, supponenti e spesso ostili al dialogo, al contempo li destabilizza. Tendono a sottrarsi ai percorsi educativi autoritari e impositivi. Sono riottosi quando devono riconoscere “i ruoli”. Anche questo è un tema su cui riflettere, perché i primi ad aver scardinato i ruoli all’interno della nostra società siamo stati proprio noi, soprattutto quando abbiamo reimpostato e rivisitato il modello genitoriale e abbiamo dato alle nostre vite quella sferzata di “giovanilismo” che non sempre ha prodotto buoni frutti.
Chi ha maggiore lungimiranza e consapevolezza dovrebbe cercare di facilitare il dialogo, disinnescando la contrapposizione e cercando invece la “contaminazione” dei contenuti, quindi l’autentico scambio. Ai nostri giovani abbiamo consegnato una realtà difficile da interpretare, confusa, piena di stimoli molto spesso fini a sé stessi, intricata di linguaggi che descrivono scenari la cui portata non possiamo intuire fino in fondo. Quegli scenari però ci appartengono, in essi sono confluiti i nostri errori e le nostre buone intenzioni, i nostri sogni, quelli che avevamo un tempo, potremmo quindi ripartire proprio da lì.