Nuovo abitare meno disuguale. Un tempo vivere in periferia o in centro era un tratto distintivo. Oggi i parametri sono più complessi
La trasformazione dovuta al Covid non ha ridotto le disuguaglianze, le ha solo distribuite in modo differente e a volte ha contribuito a separare in modo più ampio i ceti più agiati da quelli popolari.
Quando si dibatte sulla disuguaglianza e sulla disparità delle opportunità tra le persone il primo pensiero corre alla distanza tra i redditi e agli squilibri tra ricchi e poveri. E sicuramente patrimonio e reddito sono indicatori significativi, ma sono molti altri gli aspetti su cui bisognerebbe lavorare.
Uno di questi è il contesto socio-abitativo nel quale le persone sono immerse. Un tempo vivere in periferia o in centro era un tratto distintivo ad esempio. Oggi i parametri sono più complessi. Lo abbiamo visto durante i lockdown, quando i luoghi pulsanti – quelli dove si trova la maggiore concentrazione di uffici, di opere d’arte, di musei e di teatri – si sono addormentati. La vita si è spostata nei luoghi di residenza. Nell’immediato si immaginava che una parte delle città sarebbe stata abbandonata, perché il decentramento dell’organizzazione del lavoro con l’introduzione dello smartworking avrebbe svuotato completamente i palazzi delle grandi aziende. Questo avrebbe spento la vita delle attività commerciali limitrofe. La profezia non si è realizzata, almeno non completamente. Il nostro stile di vita si assesta sul binario della presenza e dell’assenza in questo periodo che ancora vive sotto la minaccia pandemica.
Il lavoro si riorganizza e cambiano i tempi. Il rapporto tra i luoghi della città dedicati agli affari e gli altri si è riequilibrato. Rimangono però molte differenze legate alle zone di residenza che rischiano di aggravare le disuguaglianze. Quando gli spazi dell’abitare diventano più circoscritti e limitati, la buona qualità delle aree assume un’importanza ancora maggiore.
È più facile allora rendersi conto di quello che negli ultimi venti anni è accaduto. Non ci sono più periferie cittadine povere e senza servizi e centri ricchi molto serviti. La geografia urbana si è sviluppata a macchia di leopardo. Si trovano aree vicino al centro degradate e inospitali, si trovano aree dei centri storici congestionate da turisti e invivibili per i residenti, ci sono aree residenziali con spazi di verde, super connesse e iperattrezzate in periferia, mentre altre rimangono prive di servizi. Purtroppo la trasformazione non ha ridotto le disuguaglianze, le ha solo distribuite in modo differente e a volte ha contribuito a separare in modo più ampio i ceti più agiati da quelli popolari.
Eppure un nuovo abitare meno disuguale oggi sarebbe possibile, perché ci sono strumenti che potrebbero aiutare e risorse da impiegare. Tuttavia servirebbe condividere la progettualità, cercare le risorse esistenti, investire in connettività e nella rivalorizzazione delle strutture esistenti, nella ricerca di spazi di verde pubblico. L’impedimento maggiore è la chiusura nel nostro interesse privato. Siamo tutti interessati a ristrutturare la nostra casa a costo zero con gli incentivi del Piano di nazionale di ripresa e resilienza, ma non dedichiamo molta attenzione alle condizioni della piazza a noi più vicina, finché non troviamo il nostro secchione dei rifiuti stracolmo.