La riforma strumentalizzata. Nota politica
In un contesto già segnato da una stanchezza diffusa di fronte alla pandemia, di tutto abbiamo bisogno fuorché di partiti che per motivi elettoralistici si mettano a strumentalizzare il disagio.
Nulla è comparabile al bilancio della guerra in termini di vite umane. Per questo la priorità assoluta della politica è far sì che le armi tacciano e si determinino le condizioni per un effettivo percorso di pace, prestando nel contempo accoglienza e soccorso a coloro che per la guerra sono costretti a fuggire dalle proprie case. Sappiamo bene, tuttavia, che tra le conseguenze nefaste della guerra ci sono anche quelle più esplicitamente economico-sociali – non solo nei Paesi coinvolti in modo diretto – e che anche le scelte doverosamente compiute per contribuire a fermare l’aggressore in Ucraina stanno già avendo e avranno in futuro ripercussioni pesanti in Italia e nel resto dell’Unione europea. “Opporsi oggi a questa deriva di scontri e conflitti – ci ha ricordato pochi giorni fa il presidente Mattarella – comporta dei prezzi” e “potrebbe provocare dei costi alle economia dei Paesi che vi si oppongono”, ma questi “sarebbero di gran lunga inferiori a quelli che si pagherebbero se quella deriva non venisse fermata adesso”.
Anche al netto delle odiose speculazioni sui mercati e cominciando da subito a costruire alternative concrete nel medio-lungo periodo, la situazione attuale e la prospettiva dei prossimi mesi richiedono risorse che non sono realisticamente alla portata dei bilanci nazionali dei singoli Stati ma richiedono una “risposta europea”, come ha sottolineato il premier Draghi a margine del vertice di Versailles. Questa consapevolezza, però, non diminuisce di una virgola la responsabilità che è richiesta ai partiti in una fase così critica della vita nazionale e internazionale. Semmai la rende ancor più esigente. In un contesto già segnato da una stanchezza diffusa di fronte alla pandemia (che non a caso ha rialzato la testa), di tutto abbiamo bisogno fuorché di partiti che per motivi elettoralistici si mettano a strumentalizzare il disagio, cavalcando pulsioni corporative e settoriali o rilanciando battaglie ideologiche. E ciò vale a maggior ragione per le forze che fanno parte della maggioranza di governo.
Un caso eclatante che ha visto una parte di tale maggioranza schierarsi contro la linea dello stesso esecutivo è quello della riforma del catasto, contenuta nel disegno di legge delega sul fisco. Fino al 2026 è prevista solo una ricognizione per aggiornare l’ormai vetusta mappa del patrimonio immobiliare, che risulta del tutto inadeguata rispetto agli effettivi valori di mercato. Tanto è bastato per gridare all’aumento delle tasse sulla casa, all’arrivo imminente di una “patrimoniale”. Chissà quale Parlamento e quale governo avremo tra quattro anni (e quale mondo, verrebbe da dire) ma se in quel momento si decidesse comunque di ricalibrare la tassazione sulla casa sulla base di estimi aggiornati e reali, si tratterebbe di un’operazione benemerita in quanto attualmente “la sperequazione tende a favorire i segmenti della popolazione con maggiore ricchezza abitativa”, come ha certificato l’Ufficio parlamentare di bilancio. La materia in questione è tecnicamente complessa e ovviamente opinabile, ma il principio generale di far pagare di più a chi più possiede è di evidente buon senso, oltre che conforme alla Costituzione. Condividere in modo equo i costi della crisi drammatica che stiamo vivendo, riservando un’attenzione particolare per i più deboli: ecco per un bel compito per chi voglia fare politica con la P maiuscola.