La grande palude dell’inserimento lavorativo. Una riflessione a partire dal mancato rinnovo del contratto di oltre 2600 navigator
L’insuccesso della figura professionale è una grave sconfitta per tutta la nostra società, perché non sarà cercata una soluzione sostitutiva.
Sembra che oltre 2600 navigator non avranno il rinnovo del contratto, secondo l’impianto della futura legge di Bilancio. È una sonora bocciatura per la figura professionale che era stata introdotta per accompagnare nel percorso di inserimento lavorativo i percettori del Reddito di cittadinanza.
I detrattori di una delle misure simbolo del Movimento 5 stelle esultano perché è un altro segnale della fragile impalcatura della misura costruita per sostenere i più deboli. Eppure, di un intervento simile l’Italia aveva e ha bisogno, lo dimostra l’intenzione di mantenere il provvedimento complessivo, anche se un po’ ritoccato. I navigator avrebbero dovuto aiutare i cittadini a svincolarsi dal sussidio per sostenersi autonomamente attraverso un nuovo lavoro.
L’insuccesso della figura professionale è una grave sconfitta per tutta la nostra società, perché non sarà cercata una soluzione sostitutiva. Le intenzioni sono di riassegnare ai servizi precedenti il compito: i centri per l’impiego e le agenzie per il lavoro autorizzate. Purtroppo, se i risultati complessivi dei navigator non sono stati efficaci, neanche le organizzazioni in questione avevano raggiunto l’obiettivo, quindi appare lecito non aspettarsi molto.
La sconfitta dei navigator potrebbe essere un’occasione per comprendere la complessità del processo di inserimento lavorativo nella normalità dei casi, figurarsi quando ci si trova ad aiutare le fasce più vulnerabili. In Italia ci sono in primo luogo due figure che trovano difficoltà a trovare un’occupazione: da una parte i giovani, dall’altra parte i disoccupati over 50. I tragitti da proporre loro non sono nemmeno simili.
Nel primo caso si tratta di invitare i ragazzi a costruirsi figure professionali flessibili con alcune abilità di base e la capacità di modificarle e riadattarle, perché dovranno sempre più rispondere a un mondo del lavoro volubile, che si integra sempre più con le tecnologie e che cerca persone cooperative e allo stesso tempo autonome nei compiti da svolgere. Nel secondo caso il problema è più complesso, perché si tratta di adulti con un’esperienza pregressa che spesso non è più spendibile ai quali viene chiesto di ricominciare, oppure a uomini e donne di mezza età senza esperienze di lavoro vero, che si sono arrabattati nel mondo del sommerso con lavori più o meno importanti.
Inserire questi ultimi significa proporre loro un cambiamento di stile di vita, non solo un aggiornamento sulle competenze.
In secondo luogo, bisogna scontare una differenza tra i territori. L’Italia non è omogenea. Oltre alle classiche differenze tra Nord e Sud, ci sono quelle tra città e campagna, tra zone dell’entroterra appenninico e zone marine. Le risorse sono differenti e altrettanto varie sono le realtà produttive. Per uscire da questa palude una politica di inserimento lavorativo dovrebbe rispondere a una politica industriale che risponda alla plurale vocazione delle molteplici comunità locali. In fondo, in questo periodo le risorse economiche ci sono: andrebbero messe a sistema anche in una logica sussidiaria.