L’incognita delle elezioni. Nota politica
Con l'elezione dei sindaci delle città più grandi e di un presidente di Regione (la Calabria) è inevitabile che il risultato del voto sarà interpretato in chiave nazionale.
È ormai alle porte una tornata amministrativa che coinvolgerà 12 milioni di italiani in oltre 1300 Comuni. Con l’elezione dei sindaci delle città più grandi (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna e Trieste, per citare solo i capoluoghi regionali) e di un presidente di Regione (la Calabria) è inevitabile che il risultato del voto sarà interpretato in chiave nazionale, tanto più che sono previste anche due elezioni suppletive per seggi parlamentari vacanti, in una delle quali è in lizza anche il segretario del Pd, Enrico Letta. Certo, i sondaggi degli ultimi mesi (nell’imminenza delle elezioni le rilevazioni non possono essere diffuse) hanno segnalato una sfasatura tra quelle che vengono registrate come intenzioni di voto “politico” e le stime relative alle specifiche competizioni territoriali. Fermo restando che alla fine, in concreto, a contare sono le schede nelle urne e non altro, e che quindi le previsioni demoscopiche vanno prese sempre con le pinze, se questa sfasatura fosse confermata diventerebbe un oggetto privilegiato di analisi e di dibattito pubblico.
Di fronte alle scelte effettive di un così cospicuo numero di elettori, per i partiti si tratterebbe di un esercizio persino doveroso.
Ma pur non eludendo riflessioni di carattere strategico più ampio, sia i leader politici che i commentatori esterni dovrebbero tenere in debita considerazione l’incidenza dell’elemento locale, che dell’eventuale sfasatura rappresenterebbe la prima causa. Se nelle elezioni comunali i cittadini privilegiano personalità e pratiche di amministrazione connesse ai rispettivi territori, non è provincialismo, ma fisiologia democratica. In condizioni ordinarie, il voto dovrebbe sempre essere funzionale al livello in cui viene esercitato. Purtroppo, invece, persino l’elezione del presidente della Repubblica – di cui già si discute con una spregiudicatezza e un’intempestività scoraggianti – rischia di divenire strumentale rispetto ad altri obiettivi, come la fine anticipata della legislatura e le elezioni politiche in primavera.
Quanto alle tendenze generali dell’elettorato, anche a livello nazionale gli analisti convergono nel segnalare uno spostamento di attenzione dell’opinione pubblica dai filoni più ideologizzati alla concretezza dei risultati di governo. Paradossalmente, invece, sono proprio i partiti a cavalcare i temi caratterizzati in senso ideologico, pur minoritari nel Paese, nel tentativo talora scomposto di recuperare piccole quote di consenso che potrebbero fare la differenza tra gli schieramenti e dentro gli schieramenti. Quando è nato il governo Draghi, si poteva sperare che i partiti cogliessero l’occasione irripetibile di un ombrello istituzionale così ampio per rigenerarsi e adeguare i loro profili alle sfide epocali di questa fase storica. Bisogna riconoscere che se l’esperienza dell’esecutivo “senza formula politica” finora ha potuto operare e progredire, una parte del merito è anche dei partiti che l’hanno sostenuta. Sarebbe ingeneroso non accreditarlo. Ma la rigenerazione non c’è stata o tutt’al più è rimasta ai primi passi, con la persistente tentazione di tornare indietro. I prossimi mesi saranno decisivi per valutare la portata di questo processo.