Il sacrificio del lavoro. Una riflessione sul lavoro a partire da un'indagine svolta dal Censis
Il lavoro visto come una prigione, non funziona. Così si conferma una tendenza della crescita delle dimissioni volontarie.
Fino a che prezzo si può sacrificare la propria vita, le proprie aspirazioni e le proprie progettualità per il lavoro?
Non è una domanda scontata e nemmeno molto semplice. C’è, infatti, una parte dei lavoratori e delle lavoratrici che non si pongono affatto questa domanda. Sono i più fortunati, quelli che hanno trovato un lavoro che corrisponde alla loro vocazione. Il tema per loro sarà un po’ diverso: come posso trovare un equilibrio tra un lavoro nel quale mi sento realizzato e il resto della vita?
Ma per tutti gli altri, tanti altri, il tema principale è il primo: fino a che punto?
Nel 5° Rapporto Censis-Eduaimon sul welfare aziendale appaiono alcune indicazioni sulla soddisfazione nel lavoro che dovrebbero interrogare tutti. Secondo la ricerca l’82,3% dei lavoratori dichiara di essere insoddisfatto della propria occupazione e ritiene di meritare di più, ma il 56,2% non si dimette perché è convinto di non riuscire a trovare un impiego migliore. Ci sono due elementi cardine: la retribuzione economica e la gestione del tempo. Gran parte degli intervistati ha affermato che non è pagato in modo adeguato ad esempio. Inoltre, l’attuale tempo della pandemia ha sconvolto i ritmi e ampliato, per quasi il 40% il lavoro ha invaso gli altri ambiti di vita. A questi due elementi se ne sono aggiunti altri: la crescita delle condizioni di stress vissute, mentre si svolge un’occupazione, oppure l’irruzione del digitale che ha cambiato troppo velocemente le pratiche. In questo caso le difficoltà sono state di diverso tipo da quelle dovute alla qualità della connessione alla gestione degli spazi in casa per lavorare da remoto, dalla partecipazione agli incontri online alla ricezione della posta elettronica.
Avvisano i ricercatori che si sta radicando in molte situazioni un senso di estraneazione dal lavoro. Le persone sopportano il proprio lavoro perché hanno paura di non poter trovare altro, però si sentono avulsi, non coinvolti, non valorizzati. In molti casi si evidenzia lo scarso coinvolgimento nella mission aziendale.
Ci sono dei limiti. Il lavoro visto come una prigione, non funziona. Così si conferma una tendenza della crescita delle dimissioni volontarie: nel 2021 se ne sono registrate oltre 1 milione e 360mila. Specialmente tra i giovani inizia a diffondersi la volontà di trovare un lavoro che risponda alle proprie aspettative, che richieda sacrifici, certo, ma che abbia una finalità creativa, che promuova le proprie abilità e arricchisca la propria professionalità.