Il filo e la tela. Aldo Moro sul fascismo all’Assemblea Costituente
La memoria, come una sentinella vigile, invita a scrutare l’orizzonte storico per cogliere segnali di ritorno a un passato doloroso.
“Non possiamo fare una Costituzione afascista cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico di importanza grandissima, il quale nella sua negatività ha travolto per anni le coscienze e le istituzioni”.
Così nella seduta dell’Assemblea Costituente del 13 marzo 1947 Aldo Moro dopo “una cordiale discussione” rispondeva all’onorevole Lucifero che esprimeva il desiderio che “la nuova Costituzione italiana fosse una Costituzione non antifascista, bensì afascista”.
Moro poneva la questione con quel suo stile dialogico che oggi non è facile rintracciare nel dibattito politico anche se dovrebbe essere avvertito come responsabilità educativa da quanti entrano in un confronto culturale che va oltre le date di inizio e di fine di un tragico capitolo di storia.
“Non possiamo dimenticare – affermava Moro – quello che è stato (il fascismo), perché questa Costituzione emerge da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale”.
L’assemblea – riportano i documenti – applaudiva a queste parole comprendendo come nel riconoscimento condiviso di una tragedia provocata da una cultura fascista e da un regime fascista potesse nascere un’epoca di riconoscimento pieno dei diritti e della dignità della persona e del popolo.
“Non possiamo- concludeva Moro – se non vogliamo fare della Costituzione uno strumento inefficiente, prescindere da questa comune, costante rivendicazione di libertà e di giustizia”.
Sono parole che riportano in primo piano il primato della conoscenza e della coscienza in un tempo di approssimazioni, negazionismi, tristi nostalgie.
La memoria, come una sentinella vigile, invita a scrutare l’orizzonte storico per cogliere segnali di ritorno a un passato doloroso. Poco servirebbe l’allarme se non ci fosse una disponibilità pronta a coglierli e a rispondere con la passione per la verità e con la forza della ragione.
Torna in primo piano la necessità e l’urgenza culturale di riannodare il filo che unisce la persona alla comunità liberando entrambe da quei pensieri deboli che le hanno imprigionate nell’anonimato dell’individuo e della massa.
Moro aveva inaugurato lo stile del tessitore, “chi ha più filo tesserà la tela”, per affrontare sfide di estrema complessità e giungere a un condiviso percorso democratico verso il bene comune.
Con lui e dopo di lui altri si erano spesi e altri sono attesi per rendere sempre più forte e più bella la tela di una Repubblica che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.