Gli italiani di Pola e Fiume. I giorni dell’esodo
Esattamente 75 anni fa (il 10 febbraio 1947) la firma del Trattato di Parigi fra l’Italia e gli Alleati segnava un punto di non ritorno nell’esodo dei Giuliani – Dalmati dall’Istria, Quarnaro e Dalmazia. Ricordare oggi quegli avvenimenti – apparentemente così lontani nel tempo – è un dovere morale ed un segno di rispetto per le oltre 250 mila persone che ne furono le incolpevoli vittime ma anche un obbligo verso le nuove generazioni perché conoscendo quello che è avvenuto possano impegnarsi affinché non abbia più a ripetersi.
Esattamente 75 anni fa (il 10 febbraio 1947) la firma del Trattato di Parigi fra l’Italia e gli Alleati segnava un punto di non ritorno nell’esodo dei Giuliani – Dalmati dall’Istria, Quarnaro e Dalmazia.
Ricordare oggi quegli avvenimenti – apparentemente così lontani nel tempo – è un dovere morale ed un segno di rispetto per le oltre 250 mila persone che ne furono le incolpevoli vittime, ma anche un obbligo verso le nuove generazioni
perché conoscendo quello che è avvenuto possano impegnarsi affinché non abbia più a ripetersi.
Il rischio dell’oblio è purtroppo più che mai attuale ed incombente visto che il numero di coloro che vissero quei giorni in prima persona si sta riducendo di anno in anno per inevitabili motivi anagrafici. Rimangono certamente i racconti tramandati di padre in figlio, di nonno in nipote su come si viveva quotidianamente a Pola piuttosto che a Fiume ma viene meno la memoria dei nomi e dei volti di chi di quelle storie era il protagonista. Questo assume una valenza ancora più drammatica considerato che i segni di quella presenza sono stati spesso cancellati anche dalle lapidi dei cimiteri o dalle facciate delle case, e sono in tanti ad attendere di conoscere il luogo dell’uccisione dei propri cari per avere una tomba su cui recitare una preghiera e deporre un fiore.
L’Italia a fatica – e solo negli ultimi venti anni – ha cercato di pagare il credito di riconoscenza che questi connazionali hanno maturato nei suoi riguardi: dopo averli accolti con silenzio e fastidio nei giorni dell’Esodo – quasi quanto stavano subendo dipendesse da una loro colpa – ha sottoposto la loro tragica vicenda ad una sorta di “damnatio memoriae” rinchiudendola con insofferenza in un silenzio omertoso imposto dagli interessi partitici ed ideologici.
La lacerazione nella vita degli uomini e delle donne costretti con la violenza psicologica e fisica a lasciare le proprie case ed a partire verso un ignoto destino è divenuta per troppo tempo un vuoto vergognoso nella storia del nostro Paese: degli italiani dell’Istria, della Dalmazia, del Quarnaro non c’era stata traccia nei libri di storia o nelle pagine dei giornali ed alle loro vicissitudini non veniva riconosciuta la dignità per essere raccontate nelle aule scolastiche.
Eppure per capirne la portata sarebbe bastato ascoltare la voce di chi se n’era dovuto andare sapendo che sarebbe stato un “per sempre”.
Quando i rapporti fra Stati sono mutati ed i muri sono caduti dando loro la possibilità di tornare a vedere i luoghi della propria giovinezza, in tanti non hanno voluto o potuto farlo: quelle ferite sanguinavano ancora nel profondo del cuore ed il ricordo dell’ieri sarebbe stato troppo insostenibile dopo tanto tempo.Oggi, nel Giorno del Ricordo con cui l’Italia vuole “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale” tutto questo assume un rilievo ulteriore. Rappresenta anche il dovuto riconoscimento al cammino che uomini e donne capaci di esercitare il dono della profezia hanno intrapreso insieme (spesso nell’incomprensione generale e guardati con diffidenza e sospetto) da una parte e dall’altra di quello che era stato il primo muro sorto in Europa dopo la seconda Guerra mondiale per segnare la divisione del vecchio continente in blocchi.
Il loro impegno ha permesso di costruire un sistema di rapporti capace di assicurare un tempo di pace la cui durata mai gli europei avevano sperimentato nel corso dei secoli.
“L’angoscia e le sofferenze delle vittime di quella persecuzione, dei profughi, dei loro discendenti… ci rafforzano – ebbe modo di sottolineare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 9 febbraio 2020 – nei nostri propositi di difendere e rafforzare gli istituti della democrazia e di promuovere la pace e la collaborazione internazionale che si fondano sul dialogo fra gli Stati e l’amicizia fra i popoli”.
Mauro Ungaro
presidente nazionale FISC