Solo Cristo ti illuminerà. La Chiesa canta: rallegrati e guarda che lui, il Signore, è la luce
Come le rose quando sbocciano ad aprile, la Chiesa canta: rallegrati e guarda che lui, il Signore, è la luce
Quando le ore della notte cominciano a cedere spazio alla luce, persino chi vive di solo meccanicismo riceve un piccolo
sobbalzo nell’anima. Si stanno allungando le giornate... Perché Dio dona al mondo, prima di ogni altra cosa, la possibilità di vedere? «Sia la luce», e tutto l’universo, e nell’universo il suo re e signore, l’uomo, abitano nella luce. Essa è la manifestazione di come Dio esca da sé, decidendo di creare. Il Figlio procede dal Padre come una «luce da luce». Bisognerebbe poter immaginare la condizione di un cieco, per comprendere che cos’è l’uomo – e chi è Dio. Se la vista è impedita, tutto perde il suo fine, il suo senso. Diciamo che camminiamo “a tentoni”. Non è un caso che Gesù chiami l’antico Avversario “Principe delle tenebre”, perché dove c’è l’oscurità c’è la menzogna. Non è pensabile comprendere e vivere ciò che siamo, senza vedere. Quando, alla quarta domenica di Quaresima, intitolata a un’ineffabile letizia, si canta «Rallegrati, Gerusalemme», dovremmo percepirlo con tutti i nostri sensi, specie quelli spirituali. Dovremmo raccogliere il dolore del mondo, ogni gemito e tribolazione – la nostra con quella di tutti. Dovremmo sentirci dentro questo fremito. Pensare al modo in cui Giovanni evangelista descrive il compiersi della cena mistica di Gesù con i Dodici: «Ed era notte». Dovremmo camminare dentro la valle del Cedron, arrivare nell’orto di Getsemani. Vedere il Figlio di Dio in ginocchio, lontano un tiro di sasso, mentre prega nel buio della Gerusalemme del primo secolo, forse illuminato solo dal plenilunio di Pasqua. E dovremmo seriamente, ma molto seriamente (che vuol dire da credenti), veder cadere le sue gocce di sangue, buie come il buio del mondo. Una... due... tre... Le gocce di sangue di Gesù. Buie come il buio della notte. E sentire che tutto il buio, la tenebra, si raccoglie intorno a lui. Le spire di quest’ombra ci avvolgono ogni mattino, appena alzati. O no? La Chiesa, durante la Quaresima, spegne tutto. Abbassa i suoni, le luci, lo splendore, il colore, la letizia, il canto, l’esultanza. Dice: ti accorgi che «le opere delle tenebre non danno frutto» (Paolo agli Efesini)? E non sono solo i peccati morali. La prima iniquità è quella dei farisei: «Se foste ciechi, non avreste peccati, ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane». È come il padre di Davide, Iesse: fa a Samuele la mostra dei figli – quelli grandi, forti, muscolosi, potenti, e manca il più piccolo. Crede di vedere, lui. Crediamo di vedere, noi. Qualunque goccia di sangue Gesù lasci cadere dalla sua fronte, per quanto oscura, ci trova distratti. Penso io... Faccio io... Noi ci vediamo: che problema c’è? E la Chiesa dice: ti mostro il buio. Guarda: arrivo a dipingerti di viola persino l’Eucaristia, che è un ossimoro, una follia, indossare il colore della tenebra celebrando la luce. Per ricordare che il primo risveglio non è non dire le bugie, le parolacce, non litigare. Il primo sonno, la prima presunzione è proclamare: noi ci vediamo. Ti do questo figlio: è alto, bello, forte, ha l’età giusta... Facciamo noi... E lui, silenzioso, il Salvatore, s’inginocchia sotto i rami degli ulivi, pieni di nodi secolari, come li vediamo in quel giardino meraviglioso di Gerusalemme, e lascia che ogni goccia di tenebra esca dalla sua fronte. Dovremmo mettere le mani sotto la fronte di Gesù e anche cadesse “una sola stilla”, una sola tenebrosa goccia di sangue, sarebbe la salvezza... Dovremmo specchiarci in quel sangue buio; vedere chi siamo noi. Solo così si può cantare “Rallegrati, Gerusalemme”. La Chiesa è una madre sapiente: ci fa fare un itinerario rivestiti del buio, della cenere, del silenzio. E a un certo punto, alla quarta domenica di Quaresima, è come se non ce la facesse più e, come fanno le rose quando sbocciano ad aprile, spalanca il cuore e le labbra: è vicino, è vicino! Non ce la faccio più a stare in questo buio. Lasciami cantare per un istante ancora: rallegrati e guarda che lui è la luce. Abbiamo bisogno che nella notte di Pasqua si intoni di nuovo l’alleluia, ma non ci lasciamo confondere dall’idea che si tratti di una paginetta nuova. C’è solo una cosa per cui valga la pena esistere ed è comandare alla nostra anima: svegliati, risorgi dai morti; Cristo, la vita del mondo, lui solo ti illuminerà, quando la cenere di cui sei impastato diventerà cielo nel grembo di Dio.
don Gianandrea Di Donna
Direttore Ufficio Diocesano per la Liturgia