Nell'adorazione della Croce: da lì è venuta la gioia in tutto il mondo
Nell’adorazione della Croce ci “mettiamo in movimento” di fronte dono totale del Figlio di Dio
«Popolo mio che male ti ho fatto?». È il lamento del Signore che pende dalla Croce. Sono parole forti, di triste profezia e doloroso compimento, che ritmano lo sfilare processionale di un popolo mentre compie l’adorazione solenne della Croce il Venerdì Santo. Alla Chiesa tutta è rivolto un improperio, un rimprovero che, interpellando l’umanità, la mette in movimento, perché, imperante, le dice: «Dammi risposta!». E l’unico segno, quasi un balbettare qualcosa dinanzi a tanto dolore, è quel gesto che clero, ministri laici e fedeli tutti compiono: una semplice genuflessione, un bacio a quel legno glorioso o anche solo sfiorare il suo capo o i piedi con la mano. È niente! Nulla se paragonato al dono totale del Figlio di Dio, ma proprio perché gesto della Chiesa diventa simbolo di tutto ciò che possiamo presentargli. Come fece la donna che «si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato» (Luca 7,38). Ma non è l’avanzare di gente disperata; è la processione dei credenti che, consapevoli della loro miseria, fanno proprie le parole della prima antifona di questa solenne adorazione: Crucem tuam adoramus, «adoriamo la tua Croce, Signore, lodiamo e glorifichiamo la tua santa risurrezione. Dal legno della Croce è venuta la gioia in tutto il mondo». È il mistero di quel legno, il «dolce legno che porta appeso il Signore del mondo», come canta uno dei carmina di Venanzio Fortunato. E al dolore nel lamento, intercalato dal confessare Dio tre volte santo, risponde un inno che già parla di trionfo e vittoria. Per Cristo, allora, scende sulla Chiesa una benedizione che chiede il perdono, la consolazione e la fede, perché «si rafforzi la certezza della redenzione eterna».
don Claudio Campesato