Gesù ci guarisce. Gesù agisce, non risponde con le parole, ma con i fatti, “con una presenza d’amore”, si china e prende la mano

La gente in fila non sapeva bene cosa ci fosse dietro la porta della casa di Simone e Andrea, ma certo aveva riposto in quel luogo la speranza, tanto da portare malati e indemoniati.

Gesù ci guarisce. Gesù agisce, non risponde con le parole, ma con i fatti, “con una presenza d’amore”, si china e prende la mano

Perché? Di fronte alle sofferenze che sfigurano il volto delle persone, al dolore cui non sappiamo dare una risposta, alla malattia che ci vede impotenti, siamo assaliti da interrogativi, rifiutiamo ogni sorta di giustificazione, e alla fine chiediamo a Dio: perché?
Giobbe, è la prima lettura, chiede a Dio di ricordarsi che ha una responsabilità di fronte all’uomo e alla sua sofferenza: “i miei giorni svaniscono senza un filo di speranza”. È un soffio la vita, così di fronte alle avversità ecco il grido di ribellione: perché.

Papa Francesco torna ad affacciarsi per l’Angelus – “un’altra volta in piazza” – e commenta il brano di Marco, la guarigione della suocera di Pietro. Se è vero che la vita degli uomini è dura, e lo vediamo soprattutto in questi tempi difficili, la pandemia, dove i più colpiti sono tanti, soprattutto i più poveri, è altrettanto vero, come mostra la giornata di Cafarnao di Gesù, che dal Vangelo troviamo la forza, l’energia per andare avanti. Gesù guarisce le persone malate, ferite. “La voce di Giobbe, che risuona nella Liturgia odierna, ancora una volta – dice il Papa – si fa interprete della nostra condizione umana, così alta nella dignità e nello stesso tempo così fragile. Di fronte a questa realtà, sempre sorge nel cuore la domanda: perché?”.

È la prima guarigione raccontata da Marco, ma vediamo il modo con cui viene raccontata dall’evangelista. Gesù non parla, non risponde a domande o suppliche che sicuramente gli avranno fatto nella casa di Cafarnao, neppure una preghiera, ma compie un semplice gesto. La donna è febbricitante a letto: “si avvicinò, la fece alzare prendendola per mano”, leggiamo in Marco. Dice Francesco: “c’è tanta dolcezza in questo semplice atto, che sembra quasi naturale: la febbre la lasciò ed ella li serviva. Il potere risanante di Gesù non incontra alcuna resistenza; e la persona guarita riprende la sua vita normale, pensando subito agli altri e non a sé stessa – e questo è significativo, è segno di vera salute”.

Gesù agisce, non risponde con le parole, ma con i fatti, “con una presenza d’amore”, si china e prende la mano, dice il Papa. “Chinarsi per far rialzare l’altro. Non dimentichiamo che l’unico modo lecito di guardare una persona dall’alto in basso è quando tu tendi la mano per aiutarla a sollevarsi. Questa è la missione che Gesù ha affidato alla Chiesa. Il Figlio di Dio manifesta la sua Signoria non ‘dall’alto in basso’, non a distanza, ma chinandosi, tendendo la mano; manifesta la sua Signoria nella vicinanza, nella tenerezza e nella compassione. Vicinanza, tenerezza, compassione sono lo stile di Dio”.

Il Vangelo ci dice anche che non solo la suocera di Pietro, ma anche altre persone, in attesa davanti la porta, sono state guarite in quella prima giornata a Cafarnao. Viene spontaneo pensare alle tantissime persone colpite dalla guerra, dalla fame, dall’indifferenza, che vagano cercando una porta cui bussare, e che molto spesso resta chiusa. Ricorda il Papa la tragedia di tanti minori migranti “esposti a molti pericoli” lungo la cosiddetta rotta balcanica, o le altre rotte: “facciamo in modo che a queste creature fragili e indifese non manchino la doverosa cura e canali umanitari preferenziali”. Ricorda ancora la drammatica situazione del Myanmar, e parla di “inverno demografico” invitando a non chiudere le porte di fronte alla vita, per una “nuova primavera di bambini e bambine”.

Ma torniamo a quella sera a Cafarnao. La gente in fila non sapeva bene cosa ci fosse dietro la porta della casa di Simone e Andrea, ma certo aveva riposto in quel luogo la speranza, tanto da portare malati e indemoniati. Gesù guarisce mostrando così “la sua predilezione per le persone sofferenti nel corpo e nello spirito”. I discepoli sono stati testimoni oculari, hanno visto “e poi lo hanno testimoniato”. Non spettatori perché Gesù “li ha coinvolti, li ha inviati, ha dato anche a loro il potere di guarire i malati e scacciare i demoni”. Prendersi cura dei malati per la Chiesa non è una “attività opzionale. Non è qualcosa di accessorio. Prendersi cura dei malati di ogni genere fa parte integrante della missione della Chiesa, come lo era di quella di Gesù. E questa missione è portare la tenerezza di Dio all’umanità sofferente”.

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Fonte: Sir